La disoccupazione cresce ai livelli del 1977. Bankitalia: «Spezzare la spirale negativa dell’economia, serve una svolta storica»
L’allarme lanciato dall’Ocse sulla crescente disoccupazione giovanile a livello europeo trova un’ulteriore conferma in Italia nei dati non destagionalizzati dell’Istat. Nel primo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione è balzato al 12,8 per cento. Dati così drammatici non si avevano dal primo trimestre del 1977. Se poi si va a guardare i numeri stagionali la disoccupazione ad aprile è salita al 12 per cento. Anche questo è un massimo storico: il livello più alto sia dalle serie mensili (gennaio 2004) che da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre 1977, quindi ben trentasei anni fa. Numeri sconfortanti che riguardano i 15-24enni la cui disoccupazione è pari al 41,9 per cento nel primo trimestre del 2012 e, soprattutto, le ragazze del Meridione la cui mancanza di lavoro tocca addirittura il picco del 52,8 per cento. In cerca di lavoro sono in totale 656mila ragazzi. Una situazione preoccupante che ha spinto in meno di ventiquattr’ore, dal suo precedente monito, Giorgio Napolitano a lanciare un nuovo appello: della «questione sociale che si esprime soprattutto nella dilagante disoccupazione giovanile, bisogna farsi carico ponendola al centro dell’azione pubblica, che deve connotarsi per un impegno sempre più assiduo nella ricerca di soluzioni tempestive ed efficaci alle pressanti istanze dei cittadini». Anche il governatore Ignazio Visco ha osservato durante la relazione all’assemblea di Bankitalia che «il tasso di disoccupazione – pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all’11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani – ha superato questa percentuale nel Mezzogiorno. La riduzione del numero di persone occupate è superiore al mezzo milione». Visco, che ha anche puntato il dito contro “le rendite di posizione”, ha osservato che «non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni». Per ora «l’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica che necessita del contributo decisivo della politica, ma anche della società». Per Visco «bisogna spezzare la spirale negativa» nata dal calo dei prestiti bancari alle imprese da un lato e la flessione della domanda di credito da parte delle aziende che incide «negativamente sull’attività economica». Per governatore rilanciare l’economia è un passo importante e per farlo servono «riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora,non possono che essere selettive, privilegiando il lavoro e la produzione». E ha spiegato, tra l’altro, come il cuneo fiscale sul lavoro «frena occupazione e attività d’impresa» e l’evasione è «concorrenza sleale» e «ostacola la crescita». L’Italia, ha suggerito Visco, «ha bisogno di condizioni favorevoli all’attività d’impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi». Il governatore ha detto chiaramente che «il ritardo che abbiamo accumulato risente anche di un quadro regolamentare ridondante, di complessità e di costi degli adempimenti amministrativi da ridurre drasticamente, di un diritto da rendere più certo, di comportamenti corruttivi diffusi da sradicare, di una insufficiente protezione dalla criminalità». E se si faranno «progressi immediati, visibili nella rimozione di questi gravi ostacoli» si potranno a suo avviso stimolare investimenti produttivi, in arrivo anche dall’estero, in tutte le aree del paese e in particolare nel Mezzogiorno. Il governatore ha ricordato quindi che «il programma di riforme avviato nell’ultimo biennio muove da queste considerazioni». Ma in molti casi, detto Visco, «varate le riforme, hanno tardato, talvolta anche mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell’amministrazione». Il governatore ha ricordato quindi che «é un tratto ricorrente dell’esperienza storica del nostro paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione».