Duro colpo a Cosa Nostra: 95 arresti. I mafiosi imponevano persino l’acquisto di carne

23 Giu 2014 10:04 - di Valerio Pugi

Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza hanno eseguito 95 provvedimenti restrittivi nei confronti di “uomini d’onore” dei mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo, accusati di associazione mafiosa, estorsione e altri reati. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno consentito di ricostruire il nuovo organigramma dello storico mandamento mafioso alla periferia occidentale della città. Gli investigatori hanno individuato capi e gregari, accertando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante da Cosa Nostra ai danni di imprese edili ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell’economia locale. Nel corso dell’operazione, denominata “Apocalisse”, sono stati inoltre sequestrati complessi aziendali per svariati milioni di euro.
A capo del mandamento di Tommaso Natale e Resuttana, secondo le indagini, c’era lui: Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina. Era stato da poco scarcerato ed era tornato a comandare il clan. Per cercare di non finire di nuovo in carcere Biondino faceva il pensionato. Girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri uomini d’onore. Secondo gli investigatori, era lui a tenere le fila e imporre il pizzo a tappeto nel mandamento. Gregorio Palazzotto, titolare di una ditta di traslochi, secondo gli investigatori sarebbe invece il capo della cosca dell’Arenella. Palazzotto si trova in carcere, ma aveva aperto un profilo Facebook da dove insultava i pentiti: «Non ho paura delle manette, ma di chi per aprirle si mette a cantare». Attraverso la pagina sui social faceva rivendicazioni contro il sovraffollamento delle carceri e chiedeva l’amnistia.

Sono 34 le estorsioni accertate, e solo un operatore economico ha denunciato, rifiutandosi di pagare: è il titolare di una società che sta realizzando la più grande multisala della Sicilia nell’ex fabbrica della Coca Cola di Palermo. Le indagini sono state condotte da un pool di magistrati composto dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Gaetano Paci, Annamaria Picozzi, Dario Scaletta e dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Magistrati e investigatori hanno scoperto che Cosa Nostra palermitana ha ormai affinato le sue forme di infiltrazione e ricatto sull’economia legale, imponendo addirittura proprie forniture di carne alle macellerie più in vista del centro. Altri boss si erano lanciati invece in un’azione massiccia di riciclaggio, scommettendo i propri tesori illeciti provenienti dal traffico di droga e dalle estorsioni sulle partite di calcio dei campionati nazionali ed esteri. Nell’inchiesta è coinvolto un imprenditore che fu candidato alle elezioni comunali del 2012, nella lista dell’Udc: Pietro Franzetti, indagato per corruzione elettorale aggravata. Secondo l’accusa, il politico avrebbe acquistato 1.500 voti dal clan mafioso dell’Acquasanta, pagando quasi 10 mila euro. Anche se poi Franzetti ha preso soltanto 308 voti, risultando non eletto al Consiglio comunale: un’intercettazione lo riprende comunque mentre si accorda con Francesco Graziano, figlio di Vincenzo, boss storico di Cosa nostra. Graziano junor è stato invece arrestato, così come Lorenzo Flauto, un altro boss del clan, intercettato nella segreteria politica di Franzetti. Ed è una vera sorpresa, perché l’esponente politico si presentava come imprenditore antiracket, aveva addirittura denunciato delle intimidazioni, organizzando nei giorni scorsi un flashmob a Montecitorio per chiedere la revoca del vitalizio ai politici condannati per mafia.

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