Padova ricorda la spietata esecuzione dei missini Mazzola e Giralucci (video)
Sono passati 41 anni dall’assassinio di Mazzola e Giralucci a Padova da parte delle Brigate Rosse, ma per la comunità militante di quello che fu il Movimento Sociale Italiano, i ricordi sono ancora vivi. Per molti decenni, in perfetta solitudine, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci sono stati ricordati e commemorati solo e unicamente dai loro camerati. Sono poi passati alla storia italiana per essere state le prime vittime rivendicate dei comunisti delle Brigate Rosse, ma questo, ai militanti missini di allora importava poco. Allora uccidere un fascista non era reato, e per molti anche un’azione meritoria. I giovani missini negli anni Settanta cadevano un o dopo l’altro, e non si poteva fare un funerale né commemorarli né apporre una targa in memoriam, come accadde proprio a Padova, dove il condominio di via Zabarella, luogo della strage, per anni non volle che fosse apposta una lapide. I quotidiani italiani tentarono immediatamente di accreditare la velenosa menzogna della faida interna, del regolamento di conti tra fascisti, come aveva già fatto per il rogo di Primavalle, e forse qualcuno ci credette pure. Gli altri, la maggioranza degli italiani, restavano indifferenti a quei caduti nelle strade e nelle piazze. Bisognerà attendere il 1991 per sapere chi componeva il commando che fece irruzione nella sede di via Zabarella: Ognibene, Semeria, Ronconi, Serafini, Pelli. Quest’ultimo, morto in carcere di malattia, sarebbe quello che ha sparato. Per Primavalle bisognerà attendere l’anno successivo, quando qualcuno parlò, altrimenti sarebbe rimasto il dubbio che la strage fosse stata, come al solito, fascista. Così andavano le cose a quei tempi: noi missini lo sapevamo già allora chi erano i veri colpevoli, il Msi di Almirante lo denunciò sempre, ma non fu mai ascoltato né creduto. Vogliamo ricordare, documenti alla mano, che proprio 17 giugno ( le date hanno un loro significato) del 1970 (quattro anni prima di Padova, dunque) il gruppo missino alla Camera presentò una mozione sull’ordine pubblico dopo i gravissimi episodi di intolleranza delle sinistre contro il Msi durante la campagna elettorale per le amministrative appena conclusasi. In particolare il Msi chiese azioni decise contro le organizzazioni politiche dichiaratamente sovversive ed eversive. Ma rimarrà inascoltato. Se fosse stato sentito, forse la lunga stagione del terrorismo, degli anni di piombo, le migliaia di vittime non ci sarebbero stati. Forse non avrebbero sequestrato e ucciso Moro e la sua scorta. Ma il Msi non si doveva ascoltare, era peccato mortale. Era lo Stato che isolò la fiamma tricolore per decenni, non noi militanti missini con i nostri solitari “presente!” a Mazzola e Giralucci, che oggi certo nessuno ricorderebbe più se non fosse per la presenza e il ricordo costante della loro comunità, patavina in primo luogo, ma di tutto il movimento.
Per Mazzola e Giralucci a Padova per anni neppure una targa
A quei tempi c’erano le sezioni di partito, e il Msi, come il Pci, era molto radicato sul territorio. In genere la sezione era frequentata da giovani e meno giovani, spesso combattenti della Repubblica Sociale, che trascorrevano il loro tempo confrontandosi con le nuove generazioni e raccontando le loro esperienze di vita. I giovani da parte loro attaccavano manifesti, davano volantini, propagandavano il programma del Msi sul territorio e nelle scuole. Le sezioni in genere si animavano il pomeriggio, la mattina o erano chiuse o c’era qualcuno a compiere lavori di segreteria o di riordino di documenti. Quella mattina purtroppo, era presente Giuseppe Mazzola, moglie e quattro figli, classe 1914, che aveva da poco compiuto 60 anni. Tutta la sua vita fu al servizio dello Stato: da carabiniere combatté valorosamente in Africa del Nord, fu preso prigioniero, fuggì e partecipò alla seconda parte della guerra in Calabria, sempre nell’Arma. Dopo la guerra continuò il servizio in Italia meridionale. Per la sua opera ricevette attestati, lodi, benemerenze. Ecco che tipo d’uomo era Mazzola. Quando, nel 1991, l’allora presidente Francesco Cossiga chiese la grazia per Renato Curcio, il capo delle Br, uno dei figli di Mazzola, avvocato, chiese la sospensione dello status di cittadino italiano per lui, sua madre e i suoi fratelli, mentre la famiglia Giralucci inviò una lettera al Presidente esprimento la propria contrarietà alla grazia. Graziano Giralucci invece era un tipo diverso: intanto era del 1944, quindi non aveva ancora trent’anni quando fu ucciso, era uno sportivo, fondatore del Cus Rugby Padova, e soprattutto aveva questa grande passione per la politica intesa in un certo modo. Di mestiere faceva l’agente di commercio in articoli sanitari. Aveva una moglie e una figlia in tenera età. Quella mattina lui in sezione non ci sarebbe dovuto stare, ma aveva deciso di passarci per andare a trovare Giuseppe, col quale aveva un ottimo rapporto. Mentre stavano chiacchierando, arriva il commando delle Br composto da cinque persone, armate con armi silenziate. Secondo Susanna Ronconi – e anche secondo Curcio che lo disse in seguito – non era previsto il duplice omicidio: l’azione sarebbe dovuta essere solo quella di “sequestrare” documenti e le iscrizioni dei militanti. A quello scopo, la settimana prima il brigatista Ognibene, con la scusa di essere un simpatizzante, aveva effettuato un sopralluogo nei locali. Ma l’azione aveva anche uno scopo intimidatorio verso i missini, che dimostravano quotidianamente che non avrebbero abbandonato la loro lotta politica in difesa della nazione e contro l’eversione comunista. E anche in questa occasione, i due missini non si arresero: affrontarono coraggiosamente i terroristi, tentando di disarmarli, ma i membri del commando spararono senza pietà, e poi li finirono con il classico colpo alla nuca. Le armi che spararono erano un P38 e una 7,65. Dopo la strage, il commando terrorista fuggì. Il giorno dopo ci fu la rivendicazione («sofferta», secondo Curcio) al Gazzettino di Padova e con due volantini in altrettante cabine telefoniche a Milano e Padova.
La strage di Padova per anni fu contrabbandata come “faida fascista”
Ma la cosa gravissima è che nonostante queste chiare e attendibili rivendicazioni, i giornali di sinistra ma anche le forze dell’ordine seguirono per qualche tempo una fantomatica e improbabile “pista nera”, riuscendo anche a convincere l’opinione pubblica. E intanto il terrorismo rosso si armava e si organizzava. Solo dopo oltre sei anni, negli anni Ottanta, dopo confessioni di alcuni pentiti, le indagini ripresero e si cerca di sabilire la verità: ci capì che non era una faida tra fascisti, ma che la strage rientrava nel disegno di una certa frangia della sinistra, appoggiata da certo apparati dello Stato, teso a cancellare completamente il Msi dalla mappa della politica italiana, soprattutto dopo che le elezioni del 1971 del 1972 avevano dimostrato che milioni di italiani erano disposti a seguire la fiamma tricolore. Il processo del 1990 e l’appello del 1991 confermarono le condanne per tutti i colpevoli (tranne Pelli che, come si è detto, era morto anni prima in carcere di leucemia), confermando che si trattò di una spietata esecuzione, e nel 1992 finalmente la giunta comunale di Padova decise di onorare la memoria dei due missini con l’intitolazione di due strade comunali vicine nella zona di Altichiero. Oggi Mazzola e Giralucci vengono ricordati a ogni anniversario, e viene da pensare che se solo gli apparati statali avessero preso sul serio l’allarme lanciato da un partito onesto, che era fatto da persone oneste, perbene e coraggiose come Mazzola e Giralucci, la storia italiana avrebbe preso un corso diverso. Nell’anniversario della loro morte il sindaco di Padova Massimo Bitonci e la cittadinanza ricorda il loro sacrificio a via Zabarella 24 con la deposizione di una corona e in seguito nella sede di Fratelli d’Italia a Riviera Ponti Romani, a loro dedicata, si terrà un convegno per ricordare.