Libia, terribile accusa al governo: “Ostaggi liberi col sangue di mio marito”
Il governo italiano ha fatto un pasticcio anche sugli ostaggi? «Lo Stato italiano ha fallito: la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito». È questo infatti il parere di Rosalba Failla, moglie di Salvatore, uno dei due tecnici italiani uccisi in Libia, attraverso il suo legale Francesco Caroleo Grimaldi. «Se lo Stato non è stato capace di riportarmelo vivo – aggiunge – ora almeno non lo faccia toccare in Libia, non voglio che l’autopsia venga fatta lì». La moglie del tecnico prosegue affermando che la salma «la stanno trattando come carne da macello. Nessuno, tra questi che stanno esultando per la liberazione ha avuto il coraggio di telefonarmi». La vedova ribadisce: «Voglio che il corpo rientri integro e che l’autopsia venga fatta in Italia». Intanto, mentre Palazzo Chigi non sa bene come comportarsi in Libia, si apprende che «un piccolo aereo italiano è arrivato a Sabrata ma non so chi c’era a bordo»: lo ha riferito il direttore del dipartimento media stranieri governo Tripoli, Jamal Zubia, senza poter fornire altri dettagli sull’informazione. «L’ho saputo da giornalisti», ha precisato contattato al telefono dall’Ansa. «Attendiamo l’arrivo della delegazione italiana», ha poi scritto in un sms all’Ansa del Cairo il presidente del consiglio municipale di Sabrata, Hussein al-Zawadi, ma di che delegazione si tratti nessuno lo sa. Molti pensano che su quell’aereo avrebbero potuto esserci i nostri 50 soldati del Col Moschin, le nostre truppe scelte, ma non c’è alcuna certezza in merito, come su nessun altro aspetto di questa triste vicenda. Lo ribadisce il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri: «Non è possibile leggere sui giornali dettagli sull’intervento italiano in Libia con nomi dei reparti, dei comandanti e quant’altro e non avere alcuna discussione in Parlamento. Sono già state convocate le commissioni Difesa e Esteri del Senato e in quella occasione il gruppo di Forza Italia esige chiarezza e informazioni compiute. Riteniamo necessaria grande cautela per quanto riguarda lo scenario libico, per non ripetere i drammatici errori di Obama, Clinton e di Sarkozy del passato. Comunque la si pensi – conclude Gasparri -, non si può prescindere da una compiuta comunicazione al Parlamento che pretendiamo subito. Il ministro Gentiloni riferirà nel corso della settimana quando sarà tardi. Le commissioni Esteri e Difesa sono state convocate per altre ragioni ma pretendiamo in quella sede la presenza del governo ai massimi livelli perché serve un’analisi compiuta di quanto sta avvenendo. Non possiamo assistere a una guerra attuata con decreti segreti, usi di servizi di sicurezza che dimostrano ancora una volta in Libia la loro imperizia, il loro inutile costo, la loro assoluta inaffidabilità. Chiediamo al governo trasparenza».
Berlusconi: imperdonabile fare guerra alla Libia di Gheddafi
Per il leader di FI, Silvio Berlusconi, «fare la guerra a Gheddafi, e illudersi che dopo la cosiddetta Primavera araba non ci sarebbero stati più problemi, è stato un errore imperdonabile. Adesso tutti mi danno ragione, ma è troppo tardi». «Avevo avvisato i governi europei e quello statunitense – aggiunge Berlusconi – che il cambio di regime in Libia avrebbe dato luogo a un disastro. E purtroppo – conclude – così è avvenuto: la nazione è collassata, le centocinque tribù si combattono fra di loro e sono aumentate le bande di criminali e di terroristi jihadisti». Contrario all’atteggiamento attendista del governo anche il leader della Lega Nord Matteo Salvini: «Il terrorismo islamico e l’Isis vanno cancellati dalla faccia della terra con ogni mezzo a disposizione», ha detto. «Se Prodi e Renzi invitano alla prudenza – continua Salvini – vuol dire che va fatto l’esatto contrario. In Libia, come in Siria, bisogna intervenire, si è perso troppo tempo a meno che qualcuno aspetti che il terrorista arrivi nel tinello di casa nostra. Prevenire è meglio che curare». Tornando agli ostaggi, quelli liberati, un’altra giornata di attesa se ne va per le famiglie dei due tecnici italiani rapiti in Libia e liberati giovedì. Il giorno e l’ora dell’arrivo sono al momento ancora incerti, come tutto in questa vicenda. Dopo la gioia e la commozione per la notizia della liberazione, suscitate in Italia dalla voce dei loro cari, la moglie e i figli di Gino Pollicardo, a Monterosso (La Spezia), e quelli di Filippo Calcagno, a Piazza Armerina (Enna), hanno potuto parlare nuovamente con i due tecnici. «Noi siamo felici ma siamo vicino alle altre due famiglie – osserva Brunella Calcagno – e quando la situazione si calmerà andremo a trovarle, saremo vicini a loro. Non abbiamo provato a metterci in contatto con loro. Non credo che sia il momento migliore». Il momento di incontrare i loro cari si avvicina. Nel pomeriggio, le due famiglie, accompagnate dai parenti, hanno ricevuto una telefonata da Roma, hanno lasciato le proprie abitazioni e sono partite per la capitale, dove avverrà, finalmente, presto anche se non si sa ancora esattamente quando, l’abbraccio con Gino e Filippo, atteso da sette mesi.