Dacca, imprenditori del tessile e madri di famiglia, ecco chi sono le vittime
Sono perlopiù manager, buyer e rappresentanti o proprietari di aziende tessili. Alcuni vivevano lì in Bangladesh da anni. Altri andavano e venivano ogni tanto da lì all’Italia. Tutti avevano lasciato qui affetti, famiglie, in qualche caso figli piccolissimi. Che non rivedranno mai più. E’ uno spaccato dell’Italia che lavora sodo l’elenco delle vittime dell’agguato terroristico a Dacca, capitale del Bangladesh.
Mamma di una bimba di 3 anni, spesso in giro per il mondo per il suo lavoro in un’impresa che si occupa di abbigliamento, Maria Riboli avrebbe compiuto 34 anni il prossimo 3 settembre. La vittima bergamasca dell’attentato terroristico di ieri sera a Dacca era nata ad Alzano Lombardo, in Val Seriana. La sua famiglia è originaria di Borgo di Terzo, piccolo centro della Valle Cavallina. Dopo il matrimonio, celebrato il 21 marzo 2006, Maria Riboli si era trasferita con il marito Simone Codara a Solza, paese di duemila abitanti dell’Isola bergamasca, oggi scosso per la notizia della morte della giovane concittadina e mamma. Maria Riboli lavorava nel settore dell’abbigliamento e si trovava in viaggio per lavoro per conto di un’impresa tessile. Da diversi mesi era in Bangladesh. In particolare ieri sera era all’interno dell’Holey Artisan Bakery, il locale teatro dell’attentato. La donna era seduta a un tavolino con alcune persone, pare cinque, tutte italiane, quando uno degli attentatori avrebbe lanciato una granata, finita proprio sotto il loro tavolino. L’esplosione avrebbe causato la morte istantanea della trentatreenne e degli altri avventori. Nella foto del suo profilo Facebook, Maria Riboli appare sorridente assieme alla figlioletta. Fino a questa mattina alcuni amici le avevano scritto sulla bacheca, chiedendo se fosse tutto a posto (alcuni anche in inglese), ma senza ottenere risposta. Quando la notizia della sua morte è stata ufficializzata dalla Farnesina, sono cominciati ad apparire messaggi di stupore e condoglianze.
Doveva rientrare in Italia lunedì, la 33enne reatina Simona Monti, una delle vittime dell’attentato a Dacca. E doveva rimanere a Magliano Sabino, il paese dove vivono i suoi familiari, per un anno, in aspettativa, perché da alcune settimane aveva appreso di essere incinta come ha confermato il fratello, sacerdote della diocesi di Avellino giunto da poco a Magliano.
Dalla scorsa estate, dopo diverse esperienze di studio e lavorative in oriente, Simona aveva scelto il Bangladesh per vivere e lavorare in un’azienda tessile. Ed è lì che voleva tornare, dopo aver partorito il bimbo che aspettava da alcuni mesi. L’ultima volta che sua madre, Mimì, e papà Luciano, hanno parlato con lei al telefono è stata venerdì sera, poco dopo le 20, mentre lei stata andando con i suoi colleghi a cena proprio all’Holey. Poi il silenzio, il suo telefono ha smesso di squillare e di ora in ora le speranze che non fosse lì, ma magari ricoverata in ospedale, si sono affievolite.
«Questa esperienza di martirio per la mia famiglia e il sangue di mia sorella Simona spero possano contribuire a costruire un mondo più giusto e fraterno», ha detto, rispondendo alle domande dei giornalisti, don Luca Monti, il fratello della 33enne di Magliano Sabino.
Claudia Maria D’Antona, la vittima torinese nell’attacco terroristico a Dacca, aveva 56 anni e si era laureata in giurisprudenza all’Università del capoluogo piemontese. Ma da molti anni viveva in Oriente – raccontano alcuni amici di gioventù – prima in India dove aveva avviato un’attività di imprenditrice nel comparto tessile, e poi a Dacca, dove era titolare dell’azienda Fedo trading con il marito, Giovanni Boschetti, l’uomo che è riuscito a sfuggire ai terroristi scappando dal local.
«Era tornata qualche anno fa a Torino partecipando ad una rimpatriata tra amici dell’università», racconta un ex-compagno di studi. Come volontaria della Croce Verde, Claudia era stata tra i primi soccorritori all’incendio del cinema Statuto, il 13 febbraio 1983 a Torino, e tre anni prima aveva fatto parte delle squadre di soccorso alle popolazioni terremotate nell’Irpinia devastata dal sisma dell’autunno ’80.
«Claudia aveva una grande passione per l’abbigliamento e per il settore tessile, che l’aveva portata tanti anni fa a trasferirsi in Oriente, ma già in Italia aveva avviato la sua attività imprenditoriale», ricorda un amico della vittima torinese di Dacca, il musicista Bobo Boggio. «Da ragazzi – aggiunge – frequentavamo la stessa compagnia di amici alla Crocetta (uno dei quartieri più eleganti di Torino, ndr).
L’imprenditrice, assassinata dai terroristi a Dacca, viveva nella capitale del Bangladesh ed era con il marito Gianni Boschetti, conosciuto nel ’93 a Tirupur, in India. Con lui, riuscito a scampare alla strage, aveva guidato prima la società Europoint poi la Fedo Trading. A Torino, Claudia D’Antona, ha lasciato una sorella, Patrizia, di professione avvocato.
«Mia sorella Claudia e suo marito Giovanni erano una coppia fantastica, due persone d’oro, con un grande impegno nel volontariato – rivela Patrizia D’Antona – finanziavano un’associazione che porta esperti di chirurgia plastica in Bangladesh per curare le donne sfregiate con l’acido. Aiutare il prossimo era sempre in cima ai pensieri di Claudia e di suo marito. Si erano sposati due anni fa, con una bellissima cerimonia a Dacca, dove avere convissuto per oltre 20 anni». A Torino vive ancora la mamma dell’imprenditrice assassinata dai terroristi dell’Isis, che ha 88 anni, il padre è morto. «I funerali, quando il feretro di Claudia potrà arrivare in Italia, saranno celebrati – dice la sorella Patrizia – alla parrocchia di Gesù Nazareno, a Torino, dove era diventata una scout».
«Ci eravamo sentiti l’ultima volta giovedì scorso – racconta ancora Patrizia D’Antona – di solito in questo periodo rientrava in Italia per un breve soggiorno, ma quest’anno lei e il marito avevano troppo lavoro ed avevano rinviato il viaggio». «Del rischio di attentati ne avevamo parlato – prosegue Patrizia D’Antona – ma mia sorella non aveva paura, mi diceva che ormai, dopo quello che è successo a Parigi e Bruxelles, un posto valeva l’altro quanto a rischi. Ci eravamo visti a Natale e poi ancora a febbraio…». Patrizia D’Antona e il marito, Marco Porcari, anche lui avvocato, si sono messi in contatto anche con Gianni Boschetti, che è riuscito a scappare dal locale quando è arrivato il commando di terroristi: «Ha mandato qualche messaggio WhatsApp a Claudia ma lei non ha potuto più rispondergli. Ora è tornato a casa».
Era originario del Casertano, di Piedimonte Matese, e si era trasferito ad Acerra, in provincia di Napoli, nell’ottobre del 2015, l’imprenditore tessile Vincenzo D’Allestro, 46 anni.
Nato a Wetzikon, in Svizzera, D’Allestro era nel locale dove è avvenuta la strage in compagnia di un’altra delle vittime italiane, Nadia Benedetti, che nella capitale ha un negozio. Anche la moglie, Maria Gaudio, coetanea di Vincenzo, è originaria di Piedimonte Matese. Vincenzo e Maria si erano sposati nel 1993.
D’Allestro abitava nella mansarda di una palazzina rosa di quattro piani che si affaccia su via don Girolamo Marucella, ad Acerra. Nel Parco Azalea, dove D’Allestro abitava con la moglie Maria Gaudio, sono stati i giornalisti a portare la notizia che ha gettato nello sgomento quanti conoscevano la coppia. Secondo quanto si appreso da alcuni condomini l’imprenditore era quasi sempre fuori per lavoro. »Non si vedevano quasi mai – dice una vicina di casa – sono persone a modo e molto cordiali».
«Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo rivisti al suo ritorno dal Bangladesh, ci eravamo conosciuti lo scorso 14 giugno in un incontro al Consolato generale del Paese asiatico a Milano in cui gli imprenditori italiani avevano illustrato le loro esperienze nello stato che rappresento. Era entusiasta del suo lavoro»: così, sotto choc, il console generale onorario del Bangladesh in Veneto, l’avvocato Gianalberto Scarpa Basteri, ricorda l’imprenditore 45enne Claudio Cappelli, residente a Vedano al Lambro, in provincia di Monza, ucciso dai terroristi jihadisti al caffè di Dacca.
«A Milano il consolato generale si occupa di tutto quanto riguarda il Nord Italia e per questo mi ricordo il dottor Cappelli che aveva una impresa nel settore tessile che produceva t-shirt, magliette, abbigliamento in genere e anche intimo – spiega Scarpa Basteri -. Diceva di avere avuto una esperienza positiva e di essere contentissimo. Era da più di 5 anni impegnato in questa “avventura”. Era entusiasta e diceva che era un Paese dove si poteva lavorare molto bene».
«Non riesco a capire come sia potuto capitare l’attentato – dice il console onorario – il quartiere di Gulshan dove si trova il caffè è pieno di ambasciate e sedi legali delle grandi aziende del Bangladesh. Vi sono posti di blocco e si può entrare solo con il pass. E’, o meglio era, un quartiere tranquillo e sicuro come i due quartieri attigui Banani e Baridhara. Sono stupito dell’attentato».
Fatica a parlare la sorella di Claudio Cappelli: «sono momenti tragici per tutti noi – spiega all’Ansa – siamo sconvolti dall’ azione di questi infami maledetti assassini». Poi, con la voce rotta dal dolore conclude «non avremmo mai pensato potesse accadere una cosa del genere… ma ora abbiate pazienza, abbiamo solo bisogno di silenzio».
Sposato, padre di due gemelline di 3 anni, friulano di Feletto Umberto, in provincia di Udine, dove abitava con la famiglia, Cristian Rossi, 47 anni, imprenditore, era stato manager alla Bernardi e dopo alcuni anni si era messo in proprio. Era in Bangladesh per motivi di lavoro.
«Un gran lavoratore, estremamente preciso e competente. Pronto a trovare sempre il lato positivo delle cose». Così che gli ex-colleghi ricordano Cristian Rossi. Per anni aveva lavorato per la Bernardi come buyer proprio in Bangladesh, dove aveva il compito di comprare la merce e seguire i fornitori. E proprio grazie all’esperienza maturata, quando il gruppo tessile friulano aveva cessato l’attività, si era messo in proprio avviando, con un collega, un’attività di importazione di capi di abbigliamento realizzati nelle fabbriche di Dacca per conto di aziende italiane del settore tessile.
«Era una persona di spirito, anche nei momenti più difficili riusciva sempre a fare la battuta per sdrammatizzare le situazioni e fare gruppo», lo ricorda il segretario provinciale della Filcams Cgil di Udine, Francesco Buonopane, che aveva avuto modo di conoscerlo durante i delicati momenti della vertenza sindacale della Bernardi.
Stava per rientrare a casa Adele Puglisi, una delle vittime italiane della strage di Dacca. Probabilmente la cena a cui ha partecipato era per salutare una sua amica, Nadia Benedetti, anche lei uccisa dai terroristi, prima di partire dal Bangladesh per la Sicilia. Il suo rientro a Catania era previsto tra stasera e domani, e suo fratello e i suoi amici si stavano organizzando per accoglierla.
Adele era infatti attesa stasera a Punta Secca, la frazione marinara di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, resa celebre per la casa del commissario Montalbano nella fiction tv. Ad aspettarla i fratelli Costantino e Matteo nella casa di villeggiatura che la famiglia possiede da tempo nel borgo marinaro dove a lungo ha vissuto il padre, un colonnello dell’esercito, e dove Adele si recava di frequente durante i suoi rari viaggi in Italia di rientro dall’estero. I fratelli l’aspettavano alle 20 perché il suo rientro era previsto da Dacca a Catania per stamani. Ma la cena con la sua amica del cuore Nadia Benedetti ieri sera nel ristorante di Dacca è stata fatale.
Adele era entusiasta del suo lavoro, si occupava del controllo qualità della ditta tessile catanese Artsana, ma dopo tanti anni, voleva tornare in Italia e aveva pianificato di stabilirsi proprio a Punta Secca.
Sono stati i carabinieri di Santa Croce Camerina e i vigili urbani del comune ibleo a dare la notizia a Matteo Puglisi, fratello di Adele, della morte della sorella tra le vittime della strage di Dacca. L’uomo, subito dopo, è stato colto da malore.
«Era una grande imprenditrice, ha fatto sempre bene il suo lavoro. Dedicarsi al lavoro era la sua fonte di vita, ci dedicava tutto il suo tempo, tutta se stessa. È una tragedia molto grande per noi», racconta un amico di Nadia Benedetti ricordando l’imprenditrice viterbese 52enne scomparsa nell’attentato di Dacca. «Nadia non era sposata e non aveva figli – dice l’uomo con un nodo alla gola -. Da più di 20 anni si era trasferita in Bangladesh ma tornava spesso in Italia a trovare i parenti che vivono ancora a Viterbo».
Manager del settore tessile Nadia Benedetti lavorava come managing director della Studio Tex Limited e da tempo si era trasferita in Bangladesh.
Nadia adorava cantare, la musica e le canzoni di Franco Califano. Ogni volta che tornava nella sua Viterbo non mancava mai di passare al karaoke nel ristorante del fratello Paolo. Sorrideva, si divertiva. Chi la conosceva la ricorda come una persona gioiosa, da sempre dedita al lavoro che l’ha portata a girare mezzo mondo, fino ad arrivare in Bangladesh, dove ieri è rimasta vittima del cruento attentato di Dacca, per mano di quelli che la nipote Giulia, su Facebook, definisce «un branco di bestie». Nei prossimi giorni l’amministrazione comunale rispetterà un giorno di lutto per ricordare Nadia Benedetti, manager 52enne e figlia di imprenditori che proprio da Viterbo ha mosso i primi passi nell’industria tessile.
Il capannone dove il papà aveva avviato la sua impresa, alla periferia nord della città dei papi, oggi non esiste più. Quella che un tempo è stata una piccola zona industriale, è diventata il simbolo della crisi, con i cancelli delle imprese chiusi e gli stabilimenti ormai fatiscenti. Poco più in là c’è il ristorante del fratello di Nadia, Paolo. La notte scorsa è partito per il Bangladesh.«Era distrutto», raccontano alla reception. «Noi la sorella l’abbiamo incontrata un paio di volte – ricordano – sempre sorridente e solare». «Era una grande imprenditrice – ribadisce uno degli amici più stretti di Nadia -. Dedicarsi al lavoro era la sua fonte di vita, ci dedicava tutto il suo tempo, tutta se stessa. È una tragedia molto grande per noi». «Nadia non era sposata e non aveva figli – dice con un nodo alla gola -. Da più di 20 anni si era trasferita in Bangladesh ma tornava spesso in Italia a trovare i parenti che vivono ancora a Viterbo». «Ogni volta che tornavi eri sempre felice, tornerai anche stavolta ma non sarà come sempre», scrive su Facebook Max, il pianista che accompagnava Nadia nelle sue esibizioni musicali al karaoke. «E’ stata giustiziata in quanto occidentale, cristiana e quindi infedele», il suo sfogo.«Non c’è più’ ripete mio padre – le parole della nipote Giulia -. Un branco di bestie ce l’ha portata via. Aveva vissuto in Italia, Kenya, Bangladesh e non si era mai fermata. Neanche nei momenti più difficili. Io chiedo a voi amici, parenti, viterbesi, italiani: non dimenticate, non lasciate che si perda il suo ricordo, non dimenticate cosa è successo, non permettete a questi pazzi di commettere altre stragi, non lasciate che vincano loro».
Marco Tondat era nato a Spilimbergo, in provincia di Pordenone, ma viveva a Cordovado. «Ci eravamo sentiti ieri mattina – racconta il fratello – doveva rientrare in Italia per le ferie e abbiamo concordato alcune cose, lo aspettavo per lunedì. Era un bravo ragazzo, intraprendente e con tanta voglia di vivere. Era partito un anno fa, perchè in Italia ci sono molte difficoltà di lavoro e ha provato ad emigrare. A Dacca era supervisore di un’azienda tessile, sembrava felice di questa opportunità. A tutti voglio dire che quanto accaduto deve far riflettere: non è mancato per un incidente stradale. Non si può morire così a 39 anni».
Infine originario di Modena è Gian Galeazzo Boschetti, l’unico italiano scampato alla strage nel ristorante di Dacca in Bangladesh dove, invece, è morta la moglie Claudia D’Antona sposata due anni fa in India dove i due si erano consciuti. Discendente di una antica famiglia nobiliare modenese, Boschetti – come emerge dal suo profilo Linkedin – già dalla fine degli anni ’80 ha lavorato nel settore del tessile per multinazionali. Nel 1991 ha aperto l’ufficio di Gmt in Bangladesh diventando responsabile dell’amministrazione generale. Dal 2012 è managing partner per Fedo Trading. Titolare della Fedo era la moglie Claudia Maria D’Antona, 56enne torinese, rimasta uccisa nell’attacco terroristico.
C’è poi una persona tuttora dispersa e che la Farnesina sta cercando freneticamente fra i feriti negli ospedali.