L’ex-capo di Gladio: «durante il sequestro Moro non intervenimmo mai»
Gladio non intervenne mai durante il sequestro Moro. Non fu redatto alcun rapporto né vi furono operazioni da parte degli uomini dell’organizzazione militare. Parola di Paolo Inzerilli, ex-generale dell’Esercito e, a lungo, a capo di Gladio, prima dal 1974 al 1986 e, poi, ancora dal 1989 al 1991.
Chiamato per la seconda volta, dopo l’audizione dello scorso marzo, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, Inzerilli racconta come la struttura visse quel periodo così drammatico. E ricorda che «fu sensibilizzata» ma «solo per tenere occhi e orecchie aperte». D’altra parte, secondo il generale, nel ’78 a Roma, la struttura di Gladio era molto ristretta: «I gladiatori civili a Roma, nel ’78, erano pochissimi, qualche unità, 10 o 15».
«Da uno o due che erano all’inizio, ho cominciato a reclutarli io nella Capitale – ricorda Inzerilli – . Non c’erano praticamente civili, ma soltanto gli istruttori, una ventina tra ufficiali e sottufficiali». «E comunque – aggiunge il generale – da Gladio il personale civile non è mai stato impiegato in altro che non sia addestramento», perché un «conto è il termine operazione, altro esercitazione, la prima è una cosa reale, l’altra una simulazione».
Tutta la questione gira intorno alla figura di Camillo Guglielmi, il colonnello di Gladio, che la mattina di via Fani era nei pressi della zona dell’eccidio e del rapimento di Moro. E che resterebbe, così, fuori dalla ricostruzione, nonostante la sua accertata presenza durante l’azione brigatista. Una presenza che, fino ad oggi, è stata ritenuta non casuale.
Per Inzerilli, durante il caso Moro, «Guglielmi abitava a Modena, e dirigeva i carabinieri di quella città». Non la pensa così il membro della Commissione, Gero Grassi: «Guglielmi abitava in via Stresa 117, nei pressi di via Fani, il suo nome è sull’elenco telefonico del tempo», sostiene il deputato del Pd.
Per il generale Inzerilli, quella di via Fani, fu un’operazione militarmente molto complessa : «Credo che i brigatisti non abbiano detto quanto fossero addestrati», dice. Ma c’è dell’altro, ovviamente: «in ogni caso la scorta di Moro, più che “guerriera”, sembrava una scorta di parata, come ce ne erano tante. Pensiamo solo che le mitragliatrici stavano nel portabagagli e che il maresciallo Leonardi aveva la pistola sotto il sedile».
Inzerilli restituisce ai commissari una realtà molto articolata sulle cosiddette strutture “protette” di quegli anni.
In Italia c’erano, secondo il generale, ben tre strutture di Gladio: “La “mia” Gladio, quella bianca, il Nds, il Nucleo Difesa Stato, nera, sciolta tra il ’72 e il ’73 e quella rossa, istituita dal Pci, già nel ’45, durata per molti anni, fino a Berlinguer almeno».
«Di sicuro – ricorda il generale – la scusa, per quest’ultima, era la possibile reazione a un colpo di Stato fatto dalla destra».
Per la Gladio bianca spiega: «Io gestivo i fondi assegnati, avevamo sia fondi ordinari della Difesa, sia fondi “riservati”, gestiti in forma diversa, conti che andavano direttamente a (palazzo) Baracchini, e controllati esclusivamente dal capo dell’Ufficio, mentre l’ultimo controllo veniva fatto dalla sezione speciale della Corte dei Conti che si occupava di Sismi e Sisde».
«Utilizzavamo – aggiunge, riferendosi agli armamenti dei gladiatori – esplosivi al plastico che ci fornivano inglesi e americani. Fui io, poi, – rivela – a farlo acquistare questo esplosivo per la Nona Divisione e per Comsubin».
Inzerilli parla delle missioni dei gladiatori, concertate con la Nato, dicendo che la loro attività prevista, dopo il ’75, era quella di «intervenire, in caso di invasione (russa, ndr) all’ultimo momento, in appoggio alla controffensiva della forze militari. Noi – sottolinea – si doveva provvedere a operazioni di evasione, esfiltrazione e informazione contro gli invasori, dovevamo, ad esempio, salvare i piloti eventualmente abbattuti, che potevano dare informazioni e poi mettere al sicuro i vip, sia politici che imprenditori».
Infine il capitolo donne e Gladio. «C’erano 10 o 11 donne dentro Gladio», ricorda il generale Inzerilli. Poche perché «fino al ’76 e ’77, non venivano considerate e perché solo chi aveva fatto il servizio militare veniva reclutato. Dopo quegli anni, invece, si apre anche a chi non ha fatto il servizio militare, quindi anche alle donne. Ho visto che in Germania e Francia, c’erano le donne, in alcuni paesi erano addirittura capi rete, in alcuni casi si reclutava, addirittura, tutta la famiglia al completo».
«Un nostro uomo del nord Italia – ricorda Inzerilli – fece reclutare la figlia 20enne e non la moglie, perché la considerava troppo chiaccherona, e si fidava della figlia, non della moglie. Nell’80 abbiamo reclutato donne anche per mansioni diverse da segreteria e dattilografia, il Servizio si è illuminato. Facemmo fare alle donne corsi di tre mesi e sei mesi, per assolvere a funzioni di carattere operativo».