La sanguinosa storia delle tre Intifade: questa che arriva sarà la quarta

9 Dic 2017 18:47 - di Antonio Pannullo

Siamo, a quanto pare, alla quarta Intifada, esattamente a 30 anni i distanza dalla prima, nel 1987, la cosiddetta Intifada delle pietre. L’Intifada rappresenta la forma che ha preso il movimento di resistenza palestinese contro la presenza degli israeliani in Palestina. Dopo sporadici scontric nel dicembre di quell’anno, la protesta si trasformò in rivolta dopo che un camion israeliano travolse un taxi collettivo al campo profughi di Jabalyia, con la morte di quattro palestinesi e l’inizio di una vera e propria sommossa popolare che si estese a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. Anche i civili furono coinvolti da entrambe le parti. Tra alti e bassi, l’Intifada si protrasse sino al 1993 quando con gli Accordi di Oslo venne istituita l’Autorità nazionale palestinese (Anp). La prima Intifada ebbe un bilancio complessivo di 1100 palestinesi uccisi dagli israeliani, 160 israeliani uccisi dai palestinesi, e di ben 1000 palestinesi considerati a torto o a ragione “collaborazionisti”, uccisi sempre da altri palestinesi.

La seconda Intifada, detta anche Intifada di Al Aqsa, ebbe inizio il 28 settembre 2000, quando l’allora capo dell’opposizione israeliana e del Likud, il partito della destra ebraica, Ariel Sharon entrò nella Spianata delle Moschee, dove sorgono la moschea di Al Aqsa e quella della la Cupola della Roccia, visita ritenuta “provocatoria” dai palestinesi. Anche questa si estese ben presto a tutta la Palestina. La Spianata è un luogo che gli ebrei rivendicano perché edificata sul Tempio di Re Salomone, e i musulmani egualmente lo considerano sacro. La verità è che dal 1993 al 2000 c’era una generale frustrazione per il ristagno degli accordi di pace, suggellato poi dal fallimento della conferenza di Camp David del 2000 e dal vertice di Sharm el Sheik dell’anno precedente. Il leader dell’Olp Yasser Arafat aveva intanto cominciato ad acquistare armi in vista del riaccendersi del conflitto. Nella seconda Intifada, cui parteciparano anche gli arabo israeliani, vi fu un intensificarsi degli attacchi-suicidi da parte dei palestinesi, cui gli israeliani risposero con la demolizione di case, omicidi mirati e assedi ai campi. La seconda Intifada, che provocò un numero di vittime superiore alla prima, si esaurì nel 2005, dopo la morte di Arafat e la caduta in coma di Sharon. I morti furono oltre mille da parte israeliana, oltre cinquemila da parte palestinese, di cui oltre 500 uccisi in quanto collaborazionisti dagli stessi palestinesi, e alcune decine di vittime straniere.

Nel 2014 Hamas teorizzò il ricorso ad attentati terroristici contro Israele e i civili, sostenendo che tale forma di lotta fosse legittima. Atti a cui Israele rispose sempre con la massima durezza. Pochi mesi dopo, nel 2015, nacque la cosiddetta terza Intifada, o Intifada dei coltelli, perché la maggior parte degli attacchi furono effettuati da singoli palestinesi con armi da taglio contro militari e civili israeliani e anche con veicoli lanciati contro la folla in attesa alle fermate dell’autobus. I singoli assassini però erano coordinati da vari predicatori che incitavano all’odio e alla violenza contro il nemico ebreo. Si trattò, insomma, di una vera rivolta organizzata e preparata dai vertici estremisti palestinesi e benedetta da Hamas. La stessa tattica da lupi solitari – che poi tanto solitari non sono – che ora è messa in atto in Occidente da parte degli estremisti islamici. Finora la terza Intifada ha provocato circa 250 vittime palestinesi e 50 israeliane. Ora, con la decisione Donald Trump e con l’intolleranza dei palestinesi, si rischia di passare dalla terza alla quarta Intifada senza soluzione di continuità.

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