Acca Larenzia, la strage vista da sinistra: «ecco chi c’era fra i killer»

28 Giu 2018 20:04 - di Paolo Lami

Si chiama Dario Mariani, è un ex-militante di Lotta Continua, omonimo di un famosissimo ex-attivista di Terza Posizione, che durante gli anni di piombo gravitava «dall’altra parte».

Ieri, nel corso della presentazione del nuovo libro dell’avvocato e ricercatore Valerio Cutonilli “Chi sparò ad Acca Larenzia. Il Settantotto prima dell’omicidio Moro, l’ex-Lotta Continua Dario Mariani ha raccontato come visse lui quella carneficina. E, soprattutto, chi ci sarebbe stato, secondo lui, dietro all’eccidio e dietro quelle armi che spararono seminando la morte fra ragazzini appena ventenni.
Un intervento che ha colto tutti di sorpresa. Perché per la prima volta ci si confronta, con la parte avversa, su un periodo così difficile e doloroso di quegli anni insanguinati. L’unico modo, forse, per capire davvero cosa è accaduto in quegli anni terribili in cui tanti tanti ragazzi sono stati assassinati mentre la magistratura e gli investigatori si voltavano dall’altra parte quando bisognava fare luce sugli omicidi dei “fascisti” come quello, appunto, di Acca Larenzia.

Mariani all’epoca si occupava per l’ultrasinistra di «controinformazione», di compilare i dossier, quelle odiose “schedature” nelle quali finivano tutte le informazioni sui “fascisti”, le loro abitudini, gli indirizzi, le informazioni logistiche che avrebbero poi permesso a picchiatori e killer di portare a compimento aggressioni e omicidi contro i “fascisti”. Faceva lo stesso lavoro di dossieraggio che poi avrebbe fatto, molti anni dopo, l’estremista Valerio Verbano, assassinato in circostanze misteriose.

Dario Mariani ha ricordato, fra l’altro, la pubblicazione di un opuscolo, nei primissimi anni ’70, dal titolo esplicito: «Basta con i fascisti a Roma», nel quale, appunto, erano raccolte le famose schedature.

«Quando ho fatto la stessa cosa per via dei Volsci, per l’Autonomia Operaia – ha rivelato Mariani – era tutto cambiato. E spesso la controinformazione era interna, nel senso che la principale organizzazione romana voleva capire cosa stava succedendo. Perché dal 1975 in poi non c’era più alcun controllo».

Per quel che riguarda Acca Larenzia, «sono abbastanza d’accordo con Valerio Cutonilli che l’area di riferimento è quella che passa, geograficamente, dall’Appio-Tuscolano ai Castelli fino a Cinecittà e Torre Spaccata. L’area è quella – insiste Mariani – senza ombra di dubbio. Giusva Fioravanti c’aveva visto giusto. Solo che poi colpì Roberto Scialabba, che non c’entrava nulla». Come, sottolinea Mariani senza, però, trovare consenso su questo da parte di Cutonilli, «non c’entrava nulla Potere Operaio che si sciolse nel 1973». Cutonilli ritiene invece che i responsabili siano ex di Potere Operaio sciolto, effettivamente, nel 1973. Alcuni di loro, però, continuarono la mattanza.

«Io su Acca Larenzia ho una mia tesi che non penso sia lontana dalla verità – dice, invece, l’ex-Lc Mariani – La vicenda nasce da un livello non basso, bassissimo, dal punto di vista culturale e morale. Un livello dove non mancano elementi della brutta malavita, dove non mancano logiche gangsteristiche che, francamente anche con la durissima violenza politica dell’epoca c’entravano poco. E questo è uno degli elementi che ha fatto sì che non venisse fatta chiarezza, come accaduto anche, per esempio, nel caso di Valerio Verbano o di Giorgiana Masi».

Mariani ricorda che «tre giorni dopo il fatto di Acca Larenzia arriva un’informativa del Sid che indica già un nome importante. Il nome di un delinquente comune che riscuote il pizzo nei negozi» della zona.

«Io credo che nella vicenda di Acca Larenzia abbia agito un gruppo che, poi, a distanza di pochi mesi, ha avuto una denominazione ben precisa, “Guerriglia comunista” che, guarda caso, aveva le sue basi principali a Centocelle e a Cinecittà. Quel Giuseppe Nori, era un bandito comune al quale il commissario Cetroli ha venduto la Skorpion» che ha ucciso ad Acca Larenzia.

Nori «all’epoca pregiudicato per reati comuni, poi scappa in Francia. E l’ultima segnalazione è in Spagna mentre trasporta un grosso carico di droga. Lì fu arrestato, poi non si sa più che fine abbia fatto».

Ma «quel gruppo – ricorda oggi l’ex di Lotta Continua – era famoso perché colpì soprattutto spacciatori. Decisero di fare la guerra agli spacciatori. E devo dire che la fecero veramente bene tanto che la Magliana rinunciò a quella piazza di spaccio. Però sono anche gli stessi che cercano di far saltare in aria Angelino Rossi con la sua jeep (il celebre fondatore della palestra di via Rivera che scampò per miracolo ad un attentato dinamitardo a bordo della sua auto, ndr) e, lo stesso giorno, anche un altro dei Volontari Nazionali. Per caso scoppiò solo il detonatore per cui i danni furono minimi. Anche quelle azioni erano ad un livello notevole. Rispetto alla ferocia della violenza politica dell’epoca, un’autobomba a Roma non si era vista mai».

«E’ il gruppo che ammazza un po’ di spacciatori con tecniche, pure quelle, poco affini alla violenza politica. Ne ammazza uno a Centocelle tirando dal palazzo di fronte colpendolo con un fucile di precisione dentro casa. E’ un gruppo, proprio perché formato, in larghissima parte, da pregiudicati per reati comuni, che anche quando viene pizzicato, in seguito a un paio di pentiti che escono fuori, viene, in qualche modo, messo in secondo piano».

Eppure non è la prima volta che elementi politici dell’ultrasinistra e personaggi della criminalità comune si saldano. «Era successo anche nel 1974 con la rivolta di San Basilio, quella di Primavalle l’anno dopo. C’era stata anche l’esperienza dei Nap che ebbero una discreta presenza amche a Roma». Però in questo caso, per Acca Larenzia, si crea un cortocircuito, secondo l’ex-Lc Dario Mariani.

In quel gruppo di criminali, sostiene Mariani, c’era «gente che è stata poi utilizzata come killer». E ricorda la vicenda di un giovane brigatista della zona, «Ennio Di Rocco, che aveva fatto qualche piccola ammissione sotto tortura. Appena arrivato in carcere gli hanno tagliato la gola».
Di Rocco, 25 anni, militante della Br-Pdg, era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Trani.
Venne assassinato il 27 luglio del 1982 da altri detenuti che lo accusavano di aver collaborato con la giustizia e aver così favorito, con le sue rivelazioni, la cattura dell’ideologo Giovanni Senzani.

Nella banda che, secondo Mariani, agì ad Acca Larenzia, «c’erano personaggi di questo tipo».
«Perché non sono stati presi?», si chiede ora l’ex-attivista di Lotta Continua, Dario Mariani. «Innanzitutto perché c’era questo “pregiudizio”, erano considerati delinquenti comuni. E poi perché c’era questo poliziotto che aveva ceduto l’arma», la Skorpion, con la quale furono uccisi Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. E molti altri.

Questo poliziotto, ricorda Mariani, «era il commissario di zona, con competenza anche su Acca Larenzia. E che poi farà una bella carriera. Diventerà uno dei massimi dirigenti dell’Antidroga in Italia».

«Spesso in Italia si è usato il termine “strage di Stato“. Non è il caso di Acca Larenzia. – ragiona Mariani – Qui è roba di bassa lega. Gente che, il giorno dopo, di fronte alle durissime contestazioni che gli fece Oreste Scalzone, rispose con bugie clamorose, arrivando perfino a sostenere che Bigonzetti spacciava».

«Le conclusioni a cui noi arrivammo all’epoca con la nostra attività di controinformazione per capire cos’era accaduto ad Acca Larenzia e chi erano i responsabili – ammette Dario Mariani – sono molto simili a questo scenario. Ci arrivammo noi, non capisco perché non ci sia arrivata la magistratura o la polizia». Forse proprio perché quei ragazzi assassinati erano considerati “fascisti”. E, dunque, semplicemente morti di serie B.

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