Olbia, cinque affiliati di Al Qaeda escono dal carcere: sono decorsi i termini
Arrestati per terrorismo, vengono scarcerati per decorrenza dei termini. La vicenda riguarda cinque degli indagati nell’ambito dell’indagine della Digos di Sassari sulla cellula di Al Qaeda di Olbia, scoperta il 24 aprile del 2015. La decisione di rimetterli in libertà, sebbene con l’obbligo di dimora, è stata presa dal tribunale del riesame di Sassari. I cinque erano stati arrestati dopo una lunga indagine della Digos cittadina, che era riuscita a dimostrare i loro contatti con Al Qaeda e la loro connessione con la strage al bazar di Peshawar del 28 ottobre 2009, che provocò 137 morti e oltre 200 feriti morti nel giorno della visita di Hillary Clinton in Pakistan.
Tra loro anche l’imam della moschea di Zingonia, in provincia di Bergamo, Hafiz Muhammad Zulkifal. Gli altri quattro indagati scarcerati sono Sultan Wali Khan, pachistano, titolare di un negozio di bigiotteria che secondo la ricostruzione della Digos faceva da base ad Olbia, Ridi Yahia Khan, Imitias Khan e Syar Khan, tutti pakistani. Il Tribunale di Sassari ha deciso per ciascuno di loro l’obbligo di dimora nei luoghi di rispettivo domicilio (Olbia, Roma e Bergamo) e l’obbligo quotidiano di presentazione alla forza pubblica. «Un personaggio di spiccato spessore criminale», disse l’allora procuratore distrettuale Mauro Mura dipingendo la figura di Zulkifal, l’imam e formatore coranico della comunità pakistana che operava tra Bergamo e Brescia. «Un uomo – spiegavano ancora gli inquirenti – votato alla propaganda radicale e alla ricerca di fedeli anche pronti al martirio». Zulkifal operava in stretto contatto con Sultan Wali Khan, il capo spirituale della comunità pakistana di Olbia, dov’era a capo della sede operativa della cellula terroristica, dove si progettavano gli attentati e dove “rientravano” i terroristi dopo le loro missioni in Pakistan.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Sultan Wali Khan, che gestiva alcuni negozi di bigiotteria a Olbia e a Roma e aveva lavorato per un’impresa impegnata nei lavori per il G8 di La Maddalena, si occupava del reperimento di fondi da inviare alle 4 cellule terroristiche direttamente collegate ad Al Qaeda in Pakistan tramite collette tra le comunità islamiche del nord Sardegna, ufficialmente per scopi umanitari. I soldi invece servivano per acquistare armi, esplosivi e zainetti per i kamikaze. È emerso, ma non fu provato, che l’organizzazione per finanziarsi aveva stretti legami con bande di narcotrafficanti. Gli inquirenti hanno definito un vero e proprio fiume di denaro quello che veniva raccolto in Italia per essere poi usato a scopi terroristici. È in una perquisizione nel suo negozio di Olbia che gli inquirenti, alla ricerca di esplosivo, riuscirono a fotografare un biglietto scritto in lingua farsi che inneggiava al martirio.
Si scompisceranno dalle risate a sentir dire che devono rispettare l’obbligo di dimora imposto dai giudici.