Immigrati anche questi
«Un mare di disperazione», il titolo dell’Osservatore Romano. E da quel mare di disperazione sono emersi i primi corpi, uno alla volta, quasi a voler raccontare fotogramma dopo fotogramma la tragedia che si è consumata nella scorsa notte al largo di Lampedusa. Ci sono bambini tra le vittime, ci sono donne, famiglie distrutte in pochi minuti, lacrime sui volti dei sopravvissuti, speranze spezzate. Su quel barcone maledetto di tredici metri, viaggiavano trecento nordafricani, ognuno con la sua storia, ognuno con le sue paure. 250 ora risultano dispersi a una quarantina di miglia dall’isola, in quel tratto d’acqua dove si è ribaltato il peschereccio, a causa delle cattive condizioni che avevano reso il «mare di disperazione» quasi impraticabile. C’erano onde alte tre metri, le condizioni meteo proibitive, il vento forte ed è stato inutile il tentativo di aiuto. Era stato richiesto soccorso tramite telefono satellitare alle autorità maltesi e, su richiesta di queste, erano partite da Lampedusa due motovedette delle Capitanerie di porto e un elicottero della Guardia di finanza. Giunta sul posto alle ore quattro circa, la prima delle motovedette ha intercettato il barcone alla deriva in una situazione di grave pericolo. Il mare molto agitato e la concitazione a bordo del barcone hanno reso vano ogni tentativo di trarre in salvo i tanti migranti finiti in acqua.
«Temiamo che molte persone possano essere morte», hanno affermato in tanti. Dalla Guardia costiera è arrivato, invece, un filo di speranza: «Sono passate ancora poche ore dal naufragio – ha detto un operatore – per considerare perse tutte le speranze». Il barcone era partito dalla Libia, da Zuwarah. Alla Capitaneria di porto di Lampedusa questa ipotesi viene data al novanta per cento, anche sulla base della posizione in cui è avvenuta la tragedia, il tratto di mare tra Malta e l’isola.