Anticasta e governi tecnici: stiamo tornando al 1995?

25 Lug 2011 20:56 - di

C’è chi lo preferisce con il retrogusto socialdemocratico e chi invece ama i sapori forti della tecnocrazia senza abbellimenti. Insomma, sulla scelta dello chef ancora si dibatte, ma per il resto il banchetto Italia sembra essere pronto. L’Italia, beninteso, partecipa alla festa in qualità di portata principale. Va in scena il governo tecnico, signori. Stesso copione di sempre, attori (quasi) diversi.

Incontri riservati fra vip finanziari
Ai governi tecnici, purtroppo, il nostro Paese è abituato. Soprattutto dopo il crollo della prima repubblica, ogni tanto ce ne propinano uno. I più famosi – o famigerati… – sono stati il governo Amato I (1992-1993 ), il governo Ciampi (1993-1994), il governo Dini (1995-1996) e il governo Amato II (2000-2001). Perché si ricorre ai governi tecnici? Fondamentalmente per due motivi: innanzitutto per la debolezza atavica, per la timidezza cronica, per l’impreparazione sistematica di una classe dirigente che appena può rinuncia al proprio ruolo e scansa le proprie responsabilità. E poi per la presenza invasiva, nel tessuto sociale della nazione, di una altissima borghesia viziata e intrigante, con il vizio della congiura di palazzo. A dare un volto ai poteri forti che stavolta spingono per esautorare Berlusconi e dare il Paese in mano alle banche ci ha pensato La Stampa, che domenica ha svelato i retroscena di alcuni incontri riservati avvenuti al Ca’ de Sass, storico palazzo della finanza milanese. Lì, lunedì scorso alle sette di sera, erano convenuti ad ascoltare Romano Prodi alcuni volti noti della finanza che conta: Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Mario Monti, Angelo Caloia. Qui, secondo la ricostruzione del giornale torinese, sarebbe avvenuta la proposta dell’ex premier al professore bocconiano. Nell’articolo, Fabio Martini scrive che non si tratta del primo abboccamento: «Nelle ultime due settimane – leggiamo – al presidente della Bocconi è capitato già altre volte di sentirsi fare discorsi come questo, nel corso di incontri riservati, da parte di interlocutori qualificati e di diverso orientamento politico». Hai capito…

Gli sponsor: i giornali e i politici
Ma se nelle segrete stanze i professori illuminati  e gli alfieri del capitalismo “buono” (mica come quel parvenu del Cavaliere…) disegnano il nostro futuro, a un livello più basso troviamo facitori d’opinione e politicame assortito che spingono sullo stesso tasto. Massimo Giannini, ad esempio, su “Affari&Finanza” di Repubblica butta lì come se niente fosse l’altra opzione che sembra andare forte nei salotti buoni: «Si narra – dice il vicedirettore del quotidiano di De Benedetti – di un governo di “emergenza nazionale” per l’autunno. Con chiunque parli, ne mondo economico, ti dice che potrebbe guidarlo Giuliano Amato. Lo fece già nel ’92, con l’italia in bancarotta. Può farlo anche nel 2012, con l’Italia in bolletta». Caspita, che problemi si fanno nel “mondo economico”. Del resto anche il quotidiano di Confindustria si era già espresso in maniera eloquente. Luigi Guiso e Luigi Zingales hanno infatti scritto sul Sole 24 ore: «È necessario attuare riforme radicali, come suggerito sulle pagine di questo giornale. Oggi né un governo di destra, né un governo di sinistra possono attuare queste riforme. Se una delle due parti politiche tentasse da sola, le riforme sarebbero caratterizzate come di destra o di sinistra – quindi di parte – invece che come riforme necessarie. Il costo immediato, in termini di perdita di consenso, di operare riforme da soli sarebbe eccessivo e non verrebbero attuate. Solo un governo di unità nazionale può farlo». Quali siano gli sponsor politici dell’operazione è poi abbastanza chiaro. Il maldestro tentativo finiano di proporre Maroni premier, dietro l’apparenza di una continuità politica, andava in effetti nella direzione tecnocratica («Dicono “Maroni premier” ma si capisce che pensano a Monti», ha sibilato Roberto Calderoli). Nel Pd, invece, ancora ieri Rosy Bindi dichiarava a Repubblica di auspicare l’apertura di «una fase di transizione con un governo del Presidente della Repubblica». Qualche nome? «Che una persona come Mario Monti possa avere il profilo giusto non sono solo io a pensarlo. Ma non avanziamo nomi», ha risposto il presidente del partito.

1995-2011: quel certo dejà vu…
Insomma, per l’Italia si prospetta il ritorno a un passato poco felice e ancor meno rimpianto. La cronistoria dei governi tecnici tracciati sopra ci riporta nella prima metà degli anni ’90, l’età d’oro, non a caso, delle privatizzazioni del nostro patrimonio nazionale. E, a pensarci bene, il senso di dejà vu è potente. Come era iniziato il decennio finale del XX secolo, nello Stivale? Con dei giudici un po’ intraprendenti e una vasta ondata di antipolitica. Lo sdegno pubblico, talora anche giustificato, fu indirizzato in senso strategico. E, contro i politici corrotti, non si sventolò la bandiera di una politica migliore, ma quella delle lobby in grado di commissariare il Parlamento. Cioè i giudici, appunto, e i “tecnici”. Il parallelo con la recente ondata anticasta è impressionante. Le linee guida della politica economica di quel frangente, del resto, erano state decise qualche tempo prima. Precisamente il 2 giugno 1992.

Quel giorno, sul panfilo Britannia
Quel giorno una delegazione dell’establishment nazionale ricevette un invito sull’Her Majesty’s Yacht Britannia, il panfilo della famiglia reale inglese. Il Corriere della Sera, all’epoca, riassumeva così il senso dell’incontro: «Una gita di lusso? Non proprio: le macchine fotografiche sono rigorosamente proibite. […] Mentre lo yacht farà rotta sull’Argentario, gli invitati parteciperanno infatti (sottocoperta) ad un seminario sulle privatizzazioni. Un simposio che allineerà una serie di relatori di grande prestigio: dal direttore generale del nostro ministero del Tesoro, Mario Draghi, al presidente della Banca Warburg, Herman van der Wyck, dal presidente dell’ Ina, Lorenzo Pallesi, a Jeremy Seddon, direttore esecutivo della Barclays de Zoete Wedd, passando per il direttore generale della Confindustria, Innocenzo Cipolletta». Così i nostri governanti, all’epoca, venivano istruiti dai fiduciari di banche come Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Di lì a qualche anno il 48% delle aziende italiane sarebbe stato svenduto. All’epoca sappiamo come andò a finire: sbucò dal nulla un outsider brianzolo con un sacco di soldi e due o tre slogan azzeccati. Le privatizzazioni ci furono lo stesso, ma il disegno politico saltò. Anche se per poco. E chi è che rimise le cose a posto (per i poteri forti)? Ma guarda un po’: la stessa Lega nord che oggi, di nuovo, fa le bizze e si guarda intorno. A qualcuno fischiano le oprecchie?

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