Meluzzi: «La caccia al parlamentare è un delirio collettivo»

18 Lug 2011 20:39 - di

Una «sindrome», una «patologia», una «vera e propria degenerazione». La terminologia è da psichiatra, l’approccio è da politico: Alessandro Meluzzi ha voglia di rispondere alle domande sulla montante indignazione anticasta, neppure il fatto di dover parlare al telefonino da New York, costituisce un deterrente. «È un argomento del quale mi preme parlare. E se lo vuole sapere, sono abbastanza preoccupato. Dietro questo movimento d’opinione non vedo nulla di politico, ma un atteggiamento tipicamente italiano, autolesionistico e piagnone». Meluzzi, che in Parlamento è stato per due legislature, prima di Forza Italia dal 1994 al 1998 poi dell’Udeur fino al 2001, conosce tutte le parti in causa.
Che idea si è fatto di questo accanimento contro i politici?
C’era un atteggiamento simile nell’Italia pregiolittiana. Sostenere che sono pagati troppo sottointende che in Parlamento si debba entrare solo per censo. Con una conseguenza.
E cioè? 
Che senza stipendio ai politici, in Parlamento andrà solo chi è già ricco, quindi si torna indietro di qualche secolo, si torna a l’Italia dei notabili.
Chi contesta ritiene che i notabili ci siano adesso in Parlamento.
Neanche per sogno. Io sono stato deputato e senatore e ho vissuto la condizione di insultato per le mie prebende. Ebbene, per quanto mi riguarda è stato il periodo della mia vita nel quale ho guadagnato di meno. Chi viene dalla società civile e ha un suo ruolo di libero professionista, avvocato o medico, nel periodo in cui fa il politico a tempo pieno, nella maggior parte dei casi ci rimette. Se ci fosse una statistica sull’argomento ci sarebbero delle sorprese. In tanti ci rimettono a fare i politici.
Addirittura?
Certo, senza contare che per molti che abbandonano la professione rientrare a pieno ritmo non è facile. Io da psichiatra l’ho pagato duramente: fermare l’attività professionale per cinque anni è stato un danno.
Ma non gliel’ha detto mica il medico di entrare in politica.
Certo, non mi fraintenda. È stata un’esperienza esaltante, ma per dirle che molti di noi lasciano professioni lucrose, mentre altre categorie non finiscono nel mirino della gente.
A quali categorie allude?
Alti burocrati, grandi manager, banchieri, per non parlare dei magistrati. I parlamentari hanno lo stipendio collegato alla retribuzione di un alto magistrato, ma avete mai sentito una lamentela sui loro stipendi? Se il problema per le casse dello Stato sta tutto nei costi della politica, mi permetta una provocazione. A questo punto anziché la gente che viene dalla società civile, in parlamento facciamo entrare solo i dipendenti pubblici.
Cioè prendiamo mille impiegati del catasto?
No, delle figure più solenni. Facciamo entrare mille alti ufficiali in pensione. I militari costano poco, hanno una bella immagine e gli italiani sono contenti. Così abbiamo risolto i problemi dell’Italia. 
Accantoniamo la sua provocazione e passiamo al suo parere da psichiatatra: sa spiegare le ragioni di questo particolare accanimento da parte della gente contro i politici?
C’è un meccanismo psicologico di proiezione per cui il cittadino proietta le sue frustrazioni verso figure che sembrano vicine. Il politico è il capro espiatorio ideale. Il grande industriale no. Uno come Marchionne viene visto abissalmente lontano. Molto più facile addossare le colpe addosso a Scilipoti, che viene visto come uno al livello dell’italiano medio. La vittima sacrificale deve essere uno che senti vicino a te. Prenda gli aztechi.
Che c’entrano gli aztechi?
Mica sacrificavano gli alti sacerdoti, strappavano il cuore a quelli del volgo. È sempre lo stesso meccanismo tribale. E poi basterebbe leggere La psicologia delle folle di Gustave Le Bon che già alla fine dell’Ottocento spiegava tutto. A questo, si aggiunta una peculiarità italiana.
Ci facciamo riconoscere anche in questo campo?
Una tale demolizione della classe politica non esiste al mondo. In nessuna democrazia matura. Né in Francia, né in Germania, né tantomeno negli Stati Uniti. Persino in Spagna dove ci sono stati anni di dittatura recente, c’è maggiore rispetto per chi è stato eletto.
Lei venne eletto dopo Tangentopoli. Trova differenze tra quell’ondata dell’antipolitica e questa?
All’epoca c’era un dibattito politico dietro quella distruzione “manu militari” di alcuni partiti politici. Stavolta è peggio perché anche questa polemica che monta su internet è roba da tribuni, manganellatori mediatici come Clodio e Milone. Un panorama sconfortante.
C’è da allarmarsi?
No, per dirla con Ennio Flaiano, «la situazione politica in Italia è grave ma non seria».
Però riconosce anche lei che è grave…
Approfitto ancora di Flaiano: «A causa del cattivo tempo, la rivoluzione è stata rinviata a data da destinarsi». Mi preoccupo, ma fino a un certo punto.

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