«Sui costi della politica vedo un certo moralismo»

18 Lug 2011 20:17 - di

Il dibattito sui costi della politica? «Non mi appassiona». La bozza Calderoli per la riforma della Costituzione? «Non è il sistema con cui fare questa roba». Enrico Cisnetto crede nella cultura del dialogo e per questo, da dieci anni, promuove “Cortina incontra”, la kermesse che ogni anno mette a confronto politici e opinion leader sui temi dell’attualità (quest’anno si svolgerà dal 23 luglio al 28 agosto). Ma insieme rivendica la sua indipendenza. E così, alla politica che discute dei costi della politica dice: «In questo dibattito c’è una certa quota di moralismo».
La politica non deve dare il buon esempio?
Ma il costo maggiore della politica è la politica che non funziona. I costi amministrativi sono marginali rispetto ai costi del non governo. Poi bisogna anche capirsi su cosa si intenda quando si parla di costi della politica.
Lei cosa intende?
Io penso a tre diverse categorie. La prima è quella dei costi che – diciamo – muovono da un po’ di moralismo: la macchina blu, il passaggio aereo… francamente se il politico impiega bene il suo tempo non mi sembra un grosso problema. Il tempo ben impiegato è molto più prezioso del risparmio che si potrebbe produrre abbassando i benefit dei politici e che è piuttosto ridotto.
Però, anche sull’onda dell’antipolitica, quei benefit sono indicati come privilegi da eliminare.
Ma il cuore del problema resta il funzionamento della politica. Poi ci sono anche dei costi che rappresentano degli eccessi, ma più da un punto di vista simbolico che sostanziale. Il vitalizio, per esempio, si potrebbe tagliare, ma più per ragioni di equità che di bilancio.
L’altro tema di cui si discute molto è l’abolizione delle Province. Per lei ha senso?
Ha senso parlare della riorganizzazione dell’assetto del decentramento. Avrebbe un impatto molto forte.
Definisca “riorganizzazione dell’assetto del decentramento”.
Accorpamento delle Regioni che non arrivano a cinque capoluoghi, eliminazione delle Province, accorpamento dei Comuni sotto i 5mila abitanti, che sono il 70% del totale, eliminazione di alcune entità di secondo grado di cui non si sente la necessità, dagli enti di bacino alle comunità montane. Calcoli fatti con criterio ci dicono che se si razionalizzasse tutta questa roba qua, a regime, si risparmierebbero cento miliardi. Ma è un processo che ha una valenza anche al di là del bilancio, perché porterebbe una semplificazione amministrativa.
Buona parte del costo di questi enti, però, è rappresentato dal personale.
Il settanta per cento.
Che andrebbe comunque riassorbito…
Se si deve riassorbire si creano dei meccanismi di mobilità: io ti mantengo, però se devi andare a lavorare a 150 chilometri di distanza, perché lì ho un buco di personale, ti chiedo se ci vuoi andare e se non ci vuoi andare amen.
Ma così a pagare non sarebbero di nuovo i cittadini, i lavoratori?
D’altra parte le razionalizzazioni si devono fare per razionalizzare. Se i posti di lavoro non ci sono non si possono inventare per mantenere l’occupazione. Stiamo parlando del fatto che l’azienda Stato deve dimagrire e questo è uno dei corollari non piacevoli del discorso. Se poi vogliamo dire che la colpa è solo dei politici, si può dire che meritano questo e altro per il livello a cui siamo arrivati oggi, ma dal punto di vista di bilancio e di sistema parlare di questo non incide in modo significativo.
Le anticipazioni della bozza Calderoli parlano, tra l’altro, della riduzione del numero dei parlamentari, degli stipendi legati alle presenze e dell’istituzione del Senato federale. Quale impatto avranno queste misure sui costi della politica?
Al merito non ci arrivo nemmeno, ne faccio una questione di metodo. Non è questo il sistema di fare una cosa così.
Un problema di tempistica?
Anche quello. La tempistica è sospetta, ma il punto è che le modifiche degli assetti istituzionali, così come quelle della legge elettorale, devono essere fatte di comune accordo. Questo attiene a una prassi della politica che se non c’è significa che lì sta il problema. Il nostro problema è un bipolarismo malato. Le regole del gioco devono essere condivise, anche perché se oggi vengono cambiate unilateralmente, domani arriva qualcun altro che le cambia a sua volta unilateralmente. È successo con la riforma del Titolo V fatta dal centrosinistra l’ultimo giorno di legislatura ed è successo con la riforma che si inventò il centrodestra e che poi è stata bocciata dal referendum. Quindi, prima del merito c’è un problema di metodo e questo va acquisito.
Quando si parla di cambiare la Costituzione diventa tutto molto complicato…
Il problema non è la Costituzione, che non è né da buttare via né da mettere in un tabernacolo e che semplicemente andrebbe affrontata laicamente. Il problema è il bipolarismo malato, che ha prodotto una mancanza di comunicazione all’interno del Parlamento. Per questo ho proposto una Costituente eletta dagli italiani con proporzionale puro, che dovrebbe viaggiare in parallelo con il Parlamento. Altrimenti proviamo a superare il bipolarismo armato, che già potrebbe essere sufficiente.

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