Contrordine: Emma e Susanna si piacciono
Non hanno nulla in comune. La pensano in maniera diametralmente opposta, hanno interessi che non coincidono. Ma contro il “Cavaliere nero” bisogna compattarsi, mettendo insieme il diavolo con l’acqua santa. Ed è proprio in chiave anti-Cav che la Marcegaglia e la Camusso si fanno l’occhiolino. La prima, leader di Confindustria, casa di quelli che la vecchia sinistra considerava i “padroni”. L’altra, leader della Cgil, che in passato rappresentava la voce degli operai contro il Capitale. Due personaggi che fino a poche settimane fa guerreggiavano. Cos’è accaduto? Nella realtà poco: è stata firmata l’intesa tra Confidustria e sindacati su rappresentanza sindacale ed esigibilità dei contratti, quella del 28 giugno. Lo stesso Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha messo subito le mani avanti: «Non si è parlato d’altro». È stato semplicemente ratificato un fatto che si è verificato negli scorsi mesi. Ma non è vero che ieri non è sucesso nulla. Anzi. Quell’accordo adesso è operativo e questo consente alla Camusso, strenua nemica del governo (non a caso ha indetto la bellezza di cinque scioperi generali) un principio pro domo sua: «La contrattazione è materia di competenza dell’autonomia delle parti e non del governo». Quindi, ministri e parlamentari ne restino fuori. Non solo: la firma di ieri prevede «l’impegno formale all’applicazione dell’accordo del 28 giugno» e, secondo la Cgil, neutralizza di fatto l’articolo 8 della manovra economica del governo Berlusconi in cui venivano previste deroghe all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori in materia di licenziamenti.
Scacco al governo
Tanto rumore per nulla? Probabilmente sì. La norma voluta dal ministro Sacconi – introdotta su espressa sollecitazione della Confindustria – adesso rischia di finire in naftalina. Emma Marcegaglia, dopo aver battuto le mani a Sacconi, ha posto la propria firma in calce a un provvedimento che ne sacisce la fine. Com’è possibile tutto questo? È possibile. Perché proprio nelle ultime settimane, dopo il grande freddo che ha caratterizzato tutto il mandato della Marcegaglia a Viale dell’Astronomia, proprio Emma e Susanna sembrano aver costituito un asse di ferro che ha come obiettivo principale quello di dare la spallata a Berlusconi. Un obiettivo che fa parte da sempre del dna della Camusso e di Corso d’Italia, ma che può contare ora sull’appoggio della leader degli industriali soltanto da qualche mese. Folgorata sulla via di Damasco l’illustre Emma, che in altri tempi veniva guardata con sospetto dagli avversari del Cavaliere e accusata di essere sensibile alle sue politiche, ha scelto di associarsi al vecchio nemico. Tutto, in sostanza, costituisce oggi moneta spendibile per tagliare le gambe al governo e insediare al suo posto un esecutivo tecnico più sensibile alle sirene confindustriali.Tanto più che la Marcegaglia, ormai in scadenza, si considera oggi libera di assumere le sue iniziative. E pazienza se, così facendo, ha scontentato la Fiat e Marchionne, nonché decine di migliaia di piccole aziende (complessivamente Confindustria ne rappresenta circa 140mila), ha scontentato pure il governo e costetto le aziende pubbliche a essa associate, grandi contribuenti e con il Tesoro primo azionista, a fare voli pindarici per cercare di giustificare un comportamento che ormai non può essere più letto se non con le lenti della politica.
Morte annunciata
Al di fuori di questa ottica, si può dire che ieri è stato completato solo il cammino intrapreso. Nessuna rivoluzione. E le manifestazioni di giubilo della Camusso? Pura propaganda politica. L’articolo 8 della manovra, infatti, era già morto al momento della nascita. Il perché lo ha spiegato con molta chiarezza già nel bel mezzo della polemica di due settimane fa Giovani Centrella, segretario generale dell’Ugl. «Poiché – ha detto il sindacalista – per attuare la deroga è necessaria la firma del sindacato. È sufficiente non firmare e tutto rimane come prima. Per quanto ci riguarda non autorizzeremo mai qualcuno a licenziare qualcun’altro». Che le cose stessero realmente così, de resto, lo fa capire anche Sacconi. «Il governo – dice il ministro del Lavoro – apprezza la definitiva conferma dell’accordo del 28 giugno sulla contrattazione aziendale e apprezza la responsabilità di tutte le organizzazioni firmatarie. L’accordo definisce i criteri di rappresentatività delle organizzazioni sindacali sulla base delle deleghe dei lavoratori verificate dall’Inps. Il governo ha già avviato una più ampia verifica per offrire anche ad altre categorie gli strumenti per l’adozione di un analogo criterio. Su questa base l’intesa definisce le maggioranze che rendono gli accordi applicabili a tutti».
Unità d’intenti
Oggi sembra esserci maggiore chiarezza. Dice Centrella: «Il nostro principale obiettivo è quello di ritrovare unità d’intenti tra le organizzazioni sindacali». Una constatazione lapalissiana. Ma non è che per questo, come vorrebbe la Camusso e per certi versi la Marcegaglia, a partire da questo momento si marci tutti uniti contro il governo. Tra l’altro, sarebbe utile capire cosa pensa Sergio Marchionne del giubilo con cui ieri la presidente degli industriali, all’uscita dalla sede di via Veneto, dove si trovano gli uffici della foresteria di Confindustria, parlava dell’intesa sottroscritta poco prima con i sindacati. L’amministratore delegato del Lingotto, infatti, non ha fatto mistero di considerare i contenuti dell’articolo 8 della manovra uno degli argomenti caratterizzanti del provvedimento. Una cosa è certa: la crisi di rappresentatività non investe solo i sindacati e i partiti. anche la Confindustria ha le sue gatte da pelare. Ma Emma fa finta di non accorgersene.