«I costruttori protestano con vent’anni di ritardo»

30 Set 2011 20:43 - di

«Le riforme strutturali andavano improntate vent’anni fa. Dovevamo ribellarci prima, ma quando le cose andavano bene noi costruttori ci siamo adagiati e non abbiamo battagliato. La contestazione ad Altero Matteoli ha origini antiche e il ministro delle Infrastrutture paga anche per colpe non sue». A Paolo Buzzetti non piace l’idea di far includere la sua categoria tra gli “indignati” della settimana. Ingegnere, classe 1955, dal 2006 è presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili.

La contestazione avvenuta venerdì mattina all’assemblea dell’Ance nei confronti di Matteoli è stata cavalcata dall’opposizione.

Ma noi non intendiamo farci strumentalizzare da nessuno. È stata una protesta nata dall’esasperazione per una situazione drammatica.

È vero che a guidare la protesta c’erano i rappresentanti degli imprenditori siciliani?

C’erano anche loro.

La protesta nasce dal fatto che è stato bloccato il finanziamento pubblico per i progetti di cinquanta campi da golf nella Regione Sicilia? Forse per le casse dello Stato ci sono altre priorità…

Non entro nella questione. Sicuramente ognuno protestava per qualche opera non finanziata. Dal Nord al Sud. E poi la platea si è scaldata perché Matteoli è stato troppo…troppo sincero.

Troppo sincero?

Ci ha detto che non ci sono più soldi. Che abbiamo ragione, ma che le casse son vuote. Ci ha promesso qualche opera di defiscalizzazione, ma non è abbastanza.

Il ministro delle Infrastrutture ha detto che con il decreto che stanno mettendo a punto verranno rilanciate alcune opere fondamentali per il Paese. E poi la defiscalizzazione sono soldi che non dovrete pagare allo Stato, no?

Vedremo nel dettaglio. Di certo solo la defiscalizzazione non è sufficiente. Sono passati tre anni molto duri, ci dicono che bisogna tenere sotto controllo il debito pubblico, ci parlano di rigore, ma come andiamo avanti se non arrivano investimenti pubblici nel settore dell’edilizia?

Quindi in parole povere voi costruttori chiedete soldi allo Stato?

Hanno dato i soldi per le quote latte, per la Fiat, per gli ammortizzatori sociali nell’industria, per la Sanità, si sono aiutate Regioni che non ce la fanno, noi costruttori ci sentiamo l’ultima ruota del carro.

“Libero” vi ha definito più «prenditori» che imprenditori…

Stimo il direttore Maurizio Belpietro ma stavolta non sono d’accordo. Le faccio un altro esempio, per farle capire a che punto siamo. Ormai farsi pagare da un’amministrazione locale è diventato sempre più difficile. I tempi sono biblici. Chiedi un pagamento e ti rinviano da un anno all’altro. Così stiamo arrivando al paradosso che per non fallire lo Stato fanno fallire le nostre imprese.

Sentiamo le vostre proposte.

Intanto va spesa una parte di quei 5 miliardi in bilancio per il 2012 per gli interventi di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio. I progetti ci sono, le imprese sono pronte, i sindaci e i governatori sono d’accordo Se si vuole dare una scossa vanno buttati come fiches sul tavolo per rilanciare il settore.

Sembra facile.

Non per fare l’esterofilo, ma senza arrivare ai 400 miliardi di dollari annunciati dal governo Obama sull’edilizia pubblica, la Spagna in tre anni ne ha spesi tredici e la Francia cinque. Da noi, invece, è tutto fermo.

Non vi tranquillizzano gli investimenti annunciati sulle grandi opere?

Per rilanciare il settore è più importante stimolare la crescita delle piccole e medie imprese. Quindi, per farle una brutale semplificazione, meglio investire sulle buche stradali cittadine che sul Ponte sullo stretto. La grande opera non ti permette nell’immediato un rilancio come le opere medio piccole.

Però si deve fare sempre con i soldi pubblici?

Anche per le opere in “project financing” occorre la scintilla iniziale dell’investimento pubblico. Siamo vittime di una rigidità inspiegabile e deleteria. Questa fissazione del risparmio finanziario ci sta mettendo in ginocchio.

C’è il patto di stabilità…

Ormai è un totem. E intanto ci precludiamo il futuro perché non aiutiamo lo sviluppo. Ad esempio, si potrebbe allentare questa impostazione per i Comuni e gli enti locali virtuosi. Consentiamo almeno a queste amministrazioni di investire su edilizia locale, servizi ai cittadini e viabilità. Sono problemi risolvibili con buonsenso ed elasticità.

Altrimenti?

Altrimenti non si può più lavorare in Italia. Eppure il nostro lavoro è apprezzato, all’estero vinciamo le gare. Ormai il 54 per cento del fatturato delle costruzioni lo facciamo all’estero. Nel 2004 era il 37 per cento. Questo vuol dire, praticamente, che o si lavora all’estero o si chiude.

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