L’Italia, il “Fort Alamo” di tutta l’Europa
Tutto dipende dall’Italia. Lo sostengono gli osservatori politici ed economici, le “teste pensanti” della finanza, i maggiori quotidiani internazionali. Come sostiene il Wall Street Journal nella sua edizione online, i mercati sono convinti che il default della Grecia sia inevitabile, ma che la chiave per evitare un crollo ulteriore sia il nostro Paese: «Il destino della zona euro non si deciderà ad Atene ma a Roma». Le parole che più si spendono, leggendo giornali e commenti, sono “assedio”, “necessità di difesa”, “ultima spiaggia”, “speculatori all’attacco”. Bisognerebbe aggiungere un altro concetto, quello della “resistenza eroica” contro chi vuole che si alzi bandiera bianca. In questo quadro, quindi, l’Italia diventa una sorta di Fort Alamo, perché assediata e perché se, non resiste, si disintegra l’impalcatura della moneta unica. E se crolla l’euro, come ha sempre sostenuto la Merkel, crolla l’intera Europa.
Gli “amici” di Brenno
La realtà dei fatti è cruda. Il governo italiano, al di là di quello che viene strumentalmente sostenuto dalle opposizioni, sta agendo con responsabilità, prendendo sulle spalle tutto il peso della situazione, disposto a mettere mano a provvedimenti impopolari, col rischio di farsi risucchiare consensi su consensi, accarezzando persino l’ipotesi di manovre ancora più dure, senza la necessità di affidarsi ai soliti slogan “lacrime e sangue” ma cercando soluzioni importanti, a partire dalla privatizzazioni. Ma c’è una parte consistente del Paese che rema contro l’interesse comune (o meglio, contro la comune causa) per motivi di tattica elettorale o per difendere gli interessi di categoria. A conti fatti, il centrosinistra da una parte, i poteri forti dall’altra e personaggi che fanno notizia – come i grandi industriali – stanno aprendo le porte a Brenno, perché oggi a tentare il “sacco di Roma” sono tanti piccoli condottieri galli, a capo di altrettante tribù politiche ed economiche.
L’attacco al fortino
In prima fila c’è Emma Marcegaglia, che ogni giorno spara cannonate contro Palazzo Chigi nel tentativo di entrare a Fort Alamo. «O il governo è in grado, nella prossima settimana, di varare riforme serie, forti e impopolari che creino una discontinuità chiara sui mercati, oppure questo governo deve andare a casa. L’ho detto chiaramente e non ho paura di ribadirlo», ha detto ieri, per l’ennesima volta, quasi nella veste di portavoce dell’opposizione. A ridosso della Marcegaglia c’è il Pd. «La crisi è a un punto di allarme, bisogna assolutamente accorciare i tempi, uscire dalla palude, dalle sabbie mobili e dal fango e rimettere in cammino il paese», ha sostenuto Pierluigi Bersani. Ma la sua esternazione non ha come obiettivo la ricetta economica per uscire fuori dalla palude, tanto per usare le sue parole, ma quella di tornaconto politico: «La prima cosa – dice –è che Berlusconi capisca che deve togliersi di mezzo per consentire a un Paese nei guai di affrontare i suoi problemi. Questo invito, che noi facciamo da mesi, adesso viene raccolto più ampliamente. Continuare a dire “si va avanti così” significa pugnalare il Paese».
“Tanto peggio, tanto meglio”
Un punto di vista di parte, chiaramente di parte. Sarebbe fin troppo facile, infatti, replicare che è proprio l’atteggiamento dell’opposizione, le aggressioni mediatiche, le trappole politiche a provocare passi indietro e quindi a pugnalare il Paese. Il segretario del Pd ha avuto anche il coraggio di sottolineare il fatto che «chi sottovaluta il momento si carica di una responsabilità di cui dovrà rendere conto». Non è solo questione di “down grading”, di stato drammatico della tenuta finanziaria, «è la situazione reale del Paese a preoccupare».
Una situazione che non nasce per caso. L’aria che tira sui mercati è quella che è, ma non è certo colpa di Belusconi. Innanzitutto c’è una situazione internazionale di cui non si può non tenere conto. Poi c’è la montagna del debito pubblico (1.911 miliardi nelle ultime stime della Banca d’Italia). E, infine ci sono i problemi legati al gioco allo scasso che in queste settimane stanno facendo la stampa nazionale, i partiti di opposizione e le intercettazioni telefoniche pubblicate senza nessun riguardo, anche quando rischiano di innescare problemi di carattere internazionale, come successo recentemente con la Merkel. Le nostre opposizioni, pur di fare fuori Berlusconi, non esitano a mettere in discussione il ruolo dell’Italia, che ha bisogno di essere credibile sui mercati per poter ridurre al minimo le garanzie (tassi d’interesse) da dare agli operatori nella fase di collocamento del debito (Btp). Invece così non è. Sta succedendo l’esatto contrario. Con lo spread rispetto ai bund tedeschi che si allarga ogni giorno e richiede sempre risorse aggiuntive per collocare il debito.
Tutti giocano col default
Dopo due manovre economiche fatte il nostro debito pubblico è ancora sotto attacco. E ogni giorno ce n’è una: l’ultima, in ordine di tempo, è stata Standard & Poor’s che, mentre i mercati erano in attesa di un pronunciamento di Moody’s sul debito sovrano italiano, si è inserita anticipandola. Tanto per non perdere tempo e stare in allegria. Quando si tratta di tirare la giacca all’Italia tutti sembrano essere impazienti. Eppure la stessa Standard & Poor’s in passato ha inanellato delle performance che non ne fanno certamente il campione dell’efficienza. Tutti noi ricordiamo il fallimento di Parmalat dopo che la sera prima Standard e Poor’s aveva gratificato l’azienda di Collecchio con la tripla “A”. Eppure a questa agenzia di rating ieri si dava credito, usando il suo giudizio a pretesto per chiedere le dimissioni di Berlusconi. La logica ferrea è quella di dimostrare che l’Italia è allo sbando, l’economia non tiene, il default è dietro l’angolo. Ergo, il Cavaliere se ne deve andare da Palazzo Chigi per fare spazio a un governo diverso, magari composto di tecnici con l’appoggio di Pd, Italia del valori, Sel e compagnia cantando. Si dirà che le opposizioni, opponendosi, fanno il loro mestiere. Nulla da eccepire. A tutto però è bene che venga fatta la tara. Se si creano continuamente degli handicap all’Italia non ci si può poi stupire se corriamo con il cavallo zoppo e se sui mercati siamo costretti a compensare questa difficoltà mettendo mano al portafogli.