Migliori: «In Tunisia cresce la voglia di partecipazione»
C’è uno strano black-out informativo fra Tunisia e Italia: ieri, ad esempio, i media tunisini hanno pressoché ignorato quanto accaduto a Lampedusa. Solo Le Temps si è limitato a pubblicare in seconda pagina una notizia di agenzia. Anche giornali solitamente molto attenti alla questione dell’immigrazione dalla Tunisia verso l’Italia, come Le Quotidien, non hanno dato notizia degli scontri. Lo stesso hanno fatto i giornali on-line, a eccezione di Tunisie numérique, che presentava in home-page un breve pezzo, con un link relativo alle immagini degli scontri. E d’altra parte, al di là dei flussi immigratori che investono le nostre coste e dei problemi di ordine pubblico a essi conseguenti, quanti italiani conoscono ciò che accade nel Paese maghrebino, distante dalla Sicilia appena 140 chilometri (70 da Pantelleria)? E sanno, in particolare, che il prossimo 23 ottobre lì si andrà a votare? Chi di tutto ciò ha invece una conoscenza dettagliata è Riccardo Migliori, deputato del Pdl presidente della delegazione parlamentare italiana presso l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e capo della missione di monitoraggio elettorale che tale organismo internazionale compirà in Tunisia in occasione della chiamata alle urne del mese prossimo.
Come interpreta i fatti di Lampedusa? Una stabilizzazione della situazione politica tunisina sarà in grado di bloccare, o almeno attenuare, il fenomeno immigratorio?
L’Italia e l’Europa hanno bisogno di stabilità democratica nel Maghreb. Ciò significherà rapporti economico-commerciali e collaborazioni politiche tali da rilanciare lo sviluppo nell’area. È bene ricordare che sia il Pil che l’aspettativa di vita in Tunisia negli ultimi anni sono così cresciuti da comportare i fenomeni sia del calo del tasso demografico, sia di emigrazione da quel Paese. Ci sono le premesse affinché la “primavera araba” non divenga… autunno.
In vista del monitoraggio elettorale che lei guiderà, ha già compiuto, questo mese, un viaggio di ricognizione preliminare: come ha visto la situazione in Tunisia, da un punto di vista politico e sociale?
C’è un grande entusiasmo civico nella società tunisina. Un febbrile lavorio, finalizzato a organizzare le prime elezioni democratiche, attraverso la preparazione di 30mila scrutatori, 6mila sedi elettorali per circa 8mila seggi e la preventiva registrazione degli elettori. La legge elettorale per la Costituente prevede liste con l’alternanza uomo-donna e una quota riservata agli under-30. Fra l’altro, per la prima volta voteranno – anche in 80 seggi in Italia – tunisini all’estero. Tutti i partiti vogliono sopra ogni cosa l’apertura della fase democratica tramite le elezioni.
Oltre agli scontri a Lampedusa, martedì si sono verificati due episodi inquietanti (non riportati dai nostri quotidiani): l’aggressione a un esponente politico locale e, nella zona di confine con l’Algeria, un conflitto a fuoco con miliziani. Crede che questo faccia presagire un clima di tensione per le elezioni, compromettendone la regolarità?
Ci sono tutte le premesse politiche e organizzative perché le elezioni tunisine del 23 ottobre siano libere e giuste. Purtroppo, ci sono forze interne ed esterne che tendono a evitare che la rivoluzione si istituzionalizzi, perché hanno interesse all’instabilità del Paese o al recupero del potere da parte dei clienti del regime di Ben Alì.
Lei ha avuto contatti con esponenti politici locali. Quali sono le loro aspettative? Con che stato d’animo si preparano all’agone elettorale?
Centinaia e centinaia di liste presentate sono la dimostrazione della voglia partecipativa del popolo tunisino. La ricchezza dei programmi elettorali e le straordinarie storie personali dei protagonisti politici (anni e anni di esilio o di carcere) sono elementi che testimoniano una passione civile che è la vera ricchezza della primavera dei giovani. Non solo: il Marocco voterà il 25 novembre e sempre in autunno l’Egitto. Insomma, la Tunisia è il battistrada della libertà.
Che previsioni fa sull’esito del voto? È prevedibile una veloce normalizzazione o occorrerà molto tempo prima che il “cambio di regime” dello scorso inverno possa dirsi compiuto e stabilizzato?
I sondaggi sono talmente irrealizzabili nell’attuale società tunisina che opportunamente la commissione elettorale indipendente ne ha proibito l’effettuazione. Previsioni sono impossibili. Il partito d’ispirazione islamica e i partiti laici offrono visioni diverse della Tunisia, ma saranno costretti a una costruttiva sintesi costituzionale, poiché nessuno avrà comunque i numeri per fare da solo. Questo è molto positivo.
Come vede lo sviluppo dei rapporti italo-tunisini all’indomani del voto e del varo dell’Assemblea costituente?
Mercoledì, nel suo intervento alle Nazioni unite, il presidente americano Barack Obama ha citato le prossime elezioni tunisine come il primo passo per il consolidamento dell’area nord-africana dopo la “primavera araba”. Da parte nostra, auspichiamo il ritorno dell’area mediterraneo al ruolo che le spetta. Dopo la fine della Guerra fredda è stata principale preoccupazione dell’Europa guardare a est: in tal modo, ci siamo trovati di fronte a uno sbilanciamento della politica europea non solo verso nord, ma anche verso gli ex-Paesi del Patto di Varsavia. Ora sta cadendo un altro muro, quello fra sponde settentrionale e meridionale del “Mare nostrum”, e l’integrazione fra i popoli che vi si affacciano passerà anche attraverso il ruolo degli Stati del Maghreb in seno alle grandi organizzazioni internazionali, quali l’Osce. Un felice esito del processo in atto in Tunisia potrà costituire un primo passo in questa direzione.