Non lasciamo la piazza ai figli di papà
I figli di papà si indignano. Per lo più non sanno perché, ma non dovendo lavorare scendono in piazza e almeno si divertono. Possono sempre dire che non lavorano per colpa di questo o quel governo. C’è la disoccupazione giovanile. C’è anche quella di chi resta a terra a cinquant’anni con una famiglia da mantenere, perché le aziende chiudono. C’è chi non prenderà mai la pensione. C’è invece chi ce ne ha più d’una e la prende a quarant’anni. C’è chi ha la finanza ogni giorno in azienda e chi le tasse non le ha pagate mai. C’è chi ha una causa in corso (di lavoro, di divorzio, penale o civile) da dieci anni o più: non c’è abbastanza personale, i giudici sono oberati, i tribunali intasati. Ma ci sono soldi senza limiti, uomini e mezzi, in polizia e magistratura, per registrare e ascoltare le conversazioni di decine di zoccolette più o meno rampanti. E c’è anche il tempo e il modo di evidenziare i passaggi salienti e recapitarli alle redazioni dei giornali. C’è chi ha investito i propri risparmi e se li vede sfumare in due minuti per i giochini di speculatori anonimi che fanno offerte e le ritirano, comprano e vendono, spostando semplicemente numerini sui computer. Alla fine siamo tutti senza soldi e loro hanno intascato miliardi. C’è chi dice che è tutta colpa dei politici – e per “punirli” non va a votare, così per lui scelgono gli altri – e dice che bisogna sciogliere tutte le istituzioni così a decidere del suo futuro saranno le agenzie di rating e le finanziarie. C’è chi fa propaganda antinazionale perché dice “tanto peggio tanto meglio” sperando che il governo caschi così poi ci va lui. Indignati? Noi anche di più!