Alfredo Mantica: «La Somalia non è solo Mogadiscio»
Terra senza legge? Forse non per molto. Se lo augura il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, appena tornato da una missione in Puntland, Somaliland e Gibuti, nel Corno d’Africa. Tra gli obiettivi più importanti, certamente quello legato all’urgenza dei marinai tenuti tuttora in ostaggio dai pirati somali, tra cui undici nostri connazionali.
Senatore, come si è potuto muovere nelle zone più “calde” della terra?
Con molto spirito d’avventura. Arrivati a Gibuti, ci siamo imbarcati su un Ilyiuscin ex sovietico che aveva più di mezzo secolo, e non è un modo di dire. Successivamente ci siamo spostati con quelle jeep che circolano in tutte le zone di guerra del mondo, spesso cambiando destinazione in modo improvviso. Ad esempio, in certi luoghi non siamo potuti andare perché erano stati appena commessi sequestri di cooperanti…
A proposito di sequestri, lei si sta occupando dei nostri marinai rapiti…
Siamo responsabili non solo dei nostri marinai, che sono 11, ma di tutto l’equipaggio delle navi, ossia dei 20 filippini e dei 17 indiani. Quello che abbiamo potuto fare è un appello congiunto per radio – unico mezzo di comunicazione in Somalia – con il presidente del Puntland Abdirahman Mohamud Farolein, per consentire l’invio di aiuti umanitari ai marinai delle navi italiane Savina Caylin e Rosalia D’Amato in mano ai pirati somali rispettivamente da nove e sette mesi. In questo modo spero che si possa aprire uno spiraglio almeno per portare avanti le operazioni umanitarie.
Ma perché non fate un blitz e li liberate?
Perché l’opzione militare non è possibile. Le navi si trovano nei pressi dei porti di Xarantheere e Celdheere, guardati a vista da nostre navi militari. Solo che, come ci muoviamo, i pirati si innervosicono. I prigionieri sono a rotazione tenuti sulle navi e portati a terra, inoltre alcuni di loro sono sempre pronti per essere utilizzati come scudi umani in caso di un nostro intervento, per cui abbiamo escluso quest’opzione. E poi perché non dobbiamo considerare i pirati come guerriglieri o insorti o miliziani, ma come criminali, ossia il confronto è con la nostra mafia o con la camorra. Perciò per la prima volta abbiamo fatto un appello congiunto rivolto ai clan somali che sono in contatto con questi criminali quindi ai capi clan, agli imam somali, a quelle realtà che costituiscono voci rilevanti nel Mudug e nel Galgudud, vicino a dove le navi sono sequestrate. Non appena la situazione si sblocca siamo pronti a fornire gli aiuti in poche ore portando medicine, pomate, integratori alimentari, cibi ad alto contenuto proteico e carboidrati. Sperando anche nell’invio di un medico, se fosse possibile.
Però, più passa il tempo. più quella somala sembra una situazione senza sbocco…
Non è proprio così. In questi anni abbiamo capito che la Somalia non è solo Mogadiscio, non è solo guerra, non è solo pirati. Dopo tutte queste missioni ci siamo resi conto che Mogadiscio non è la soluzione, ma il problema. La capitale rimane tale solo perché c’è l’Amisom, e la road map che abbiamo stabilito sino al 2012 deve includere anche altre realtà del Paese che non sono così devastate.
A cosa si punta adesso?
Puntiamo, anche con altri partner europei, alla creazione di una repubblica federale somala, perché in quel Paese ci sono anche zone relativamente sicure, sempre all’africana naturalmente, come appunto il Puntland e il Somaliland. La nostra ex Migiurtinia, in particolare, è quasi un Paese normale. Nella capitale Garowe vi sono alberghi, ristoranti, negozi, insomma una certa stabilità. Non c’è un vero e proprio esercito, ma dei miliziani che fanno un po’ da corpo di polizia, che mantengono l’ordine e distribuiscono gli aiuti internazionali. Fatto sta, comunque, che è da molto tempo che in Puntland non vi sono né sequestri né attentati… La carestia, per dirne una, è certo un problema, ma non è il problema principale.
Una specie di isola felice, insomma…
Se vuol chiamarla isola… il Puntland occupa un terzo dell’intera Somalia. Abbiamo intenzione di attuare una serie di programmi di aiuti per aiutare questa parte della Somalia a decollare. Abbiamo per questo preso contatti ucon una serie di soggetti che di fatto controllano il territorio, clan, sufi, imam. Abbiamo anche un progetto molto ambizioso: creare una facoltà di Italiano nella capitale, su richiesta del governo locale, che desidera che si insegni la nostra lingua ai giovani, perché molti adulti già lo parlano.
È arrivata in queste ore la notizia che navi da guerra francesi hanno bombardato il porto di Chisimaio. Che significa?
Si tratta , se la notizia è vera, di una conferma che la Francia ha deciso di appoggiare il Kenya nelle sue operazioni anti al Shabaab, che sono i fondamentalisti. Chisimaio comunque è all’estremo sud del Paese, al confine col Kenya, molto lontano dalle zone in cui noi italiani stiamo tentando di stabilire una presenza costante. Il Kenya era stato aggredito, capiamo le ragioni di un suo intervento militare nel sud della Somalia, il suo obiettivo di consentire di avere in uno spazio somalo realtà simili al Puntland. Che l’azione che stanno facendo sia quella corretta o meno potremmo discuterne. Non dimentichiamo però che il porto di Chisimaio è la maggiore fonte di finanziamenti degli Shabaab che accedono al «30% delle tasse portuali.