Da Hessel a Soros: la piazza guidata dai grandi vecchi
Va bene, sono contro la crisi, contro il precariato e contro le ingiustizie sociali. Ma esattamente che mondo immaginano gli Indignati? E quali sono i loro riferimenti culturali e, magari, politici? Il primo, quello immediato, è Stéphane Hessel, che dopodomani compirà 94 anni e che, a ottrobre 2010, con un pamphlet di 30 pagine esortava: Indignez-vous!. Il libro in breve è diventato un caso editoriale planetario. In Italia, dove è arrivato all’inizio di quest’anno, non ha avuto l’exploit atteso, ma il suo titolo è stato comunque mutuato anche da noi: era diventato un brand planetario. Si tratta di una riflessione sul mito della Resistenza tradita, scritta da un uomo che è stato, tra l’altro, partigiano. «Motivo di base della Resistenza era l’indignazione. Noi, veterani di quel movimento, chiediamo alle giovani generazioni di far rivivere gli stessi ideali», ha scritto Hessel, sottolineando che oggi bisogna indignarsi per i diritti negati, per l’allargamento del gap economico, per le paure alimentate ad arte e lo strapotere delle centrali finanziarie.
Indignarsi per fare cosa?
Indignarsi per fare cosa, però? «Un’insurrezione pacifica», ha scritto Hessel, che sabato era con gli Indignati austriaci a spiegare che «il mondo è minacciato da due pericoli fondamentali: la distruzione ambientale e lo spaventoso crescente divario tra ricchi e poveri. Ma è così bello vedere tante persone che riescono a unirsi pacificamente in tutto il mondo». Il pacifismo è, per Hessel, condizione imprescindibile della ribellione. «Le 30 pagine del mio libro sono una continua esortazione a ribellarsi alle ingiustizie, ma attraverso i metodi della non violenza», ha detto al Corriere della Sera di ieri. Va da sé, quindi, che quelli che hanno devastato Roma «non hanno capito niente. Io sto con le migliaia di persone che a Roma, e in tutto il mondo, sono scese pacificamente in piazza per protestare contro gli insopportabili mali del nostro tempo».
Il manifesto della pace nel mondo
Gli indignati veri, dunque, sono per la pace nel mondo. Non è chiarissimo come la si debba raggiungere, ma tant’è ed è quello che emerge con una certa evidenza dalle molte interviste che hanno rilasciato in queste ore. Lo si evince anche dal loro manifesto. O, almeno, dalle prime bozze di quello americano, che iniziano a circolare in vista dell’approvazione del 20 novembre. Per la piattaforma italiana, invece, si dovrà aspettare ancora un po’: «È in fase di elaborazione da parte delle Assemblee di piazza. Il testo – si legge sul sito italianrevolution.org – verrà pubblicato non appena sarà stato approvato da tutte le piazze». Dunque, l’Occupy Wall Street rivendica quelle che il Sole 24 ore di domenica ha bollato come «un misto di ricette socialiste europee (welfare dalla culla alla tomba, scuola e università gratuite per tutti), di slogan populisti contro banche, grandi aziende e super ricchi (cancellazione dei debiti, riduzione delle tasse per il 99% degli americani, super aliquote per l’1% dei privilegiati e per i capital gain), di scontate posizioni pacifiste (no alle guerre, abolizione del Pentagono) e di improbabili raccomandazioni di ogni tipo». Ora, è programma dichiarato degli indignati di ogni dove calare le rivendicazioni nello specifico della propria realtà, ma c’è da aspettarsi che l’impostazione di fondo sia la stessa.
Ingrao avverte: serve la visione politica
Il primo a mettere in guardia sui rischi di questo atteggiamento, in Italia, è stato un altro «grande vecchio della Resistenza», come è stato definito: Pietro Ingrao. «Valuto molto forte il rischio che i sentimenti dell’indignazione e della speranza restino, come tali, inefficaci, in mancanza di una lettura del mondo e di un’adeguata pratica politica che dia loro corpo. Che l’indignazione possa supplire alla politica e, in primo luogo, alla creazione delle sue forme efficaci è illusorio», ha spiegato Ingrao, commentando Indignez-vous!. Da qui il libro di risposta al “collega” francese, che ha scritto con Maria Luisa Boccia e Alberto Olivetti ed è uscito a marzo: Indignarsi non basta. Serve dunque una visione del mondo, un atteggiamento politico che Ingrao non ha riscontrato negli indignati.
Soros, i movimenti e il pensiero globale
A maggio, poi, Hessel è uscito con un nuovo libro: Engagez-vous!, Impegnatevi!. Pure lui dev’essere giunto alla conclusione che serve una visione politica. Anche perché sulla scena c’è qualcuno che l’ha capito da tempo e che un’idea precisa del mondo la ha eccome. Si tratta di George Soros, l’ottantunenne finanziere che ama pensarsi filantropo, che ha teorizzato il “capitalismo dal volto umano” e che per realizzarlo sostiene fin da Seattle i movimenti mondiali che invocano un nuovo sistema. Del resto loro, al di là delle etichette imposte, hanno sempre precisato di non essere no-global, ma di essere per una globalizzazione diversa. Che poi fa il paio con quella descritta da Soros nei suoi saggi. In estrema sintesi, vi si immagina un mondo in cui i governi nazionali perdono sempre più potere a vantaggio di organismi sovranazionali, essenzialmente quelli finanziari ed economici, ai quali fa da contraltare una democrazia globalizzata, che trova il suo luogo di rappresentanza nella piazza.
L’autentico volto della piazza
Fuori da semplificazioni e banalizzazioni, il pensiero di Soros è meno lontano dalla realtà di quanto lo sia quello della pace nel mondo, o comunque appare più lucido. Individua la crisi dei governi nazionali e indica una sua via “pragmatica” alla nuova era: facciamoli fuori e lasciamo che mercato da un lato e popolo dall’altro si autoregolamentino e si misurino l’uno con l’altro in un braccio di ferro continuo tra piazza e palazzi. E questa piazza somiglia molto più a quella che sogna l’annientamento di ogni potere (anche con la violenza) che a quella della ribellione pacifista, la quale finisce per fare da massa inconsapevole rispetto a una precisa strategia politica. Un primo accenno di questo scenario si ebbe tra il 1999 e il 2001, tra Seattle e Genova, ma tutto fu poi bloccato dall’11 settembre. Ora che si è chiuso il ciclo Torri Gemelle-Bin Laden, quella strada si apre nuovamente e, non a caso, Soros torna a farsi sentire: «Capisco il loro sentimento», ha detto, parlando degli Occupy Wall Street. Un po’ come Mario Draghi dice che «i giovani hanno ragione a prendersela con la finanza».