Governo battuto, il Pdl: solo un incidente
Nel giorno del chiarimento tra Berlusconi e Scajola, il governo va sotto alla Camera e l’opposizione grida alle dimissioni. Solo rumore di fondo, ma intanto lo scivolone non aiuta la maggioranza, già alle prese con le sue fronde e frondine interne e ora costretto a fare i conti, è il caso di dire, con la bocciatura di un documento contabile della Ragioneria dello Stato, con 290 a favore e 290 contro a fronte di una maggioranza richiesta di 291 “sì”: un evento senza precedenti, nella storia parlamentare, al di là degli aspetti più o meno politici o dettati dalla casualità.
Assenze o mancate presenze?
Tante assenze, ieri, a Montecitorio: 14 deputati del Pdl hanno disertato l’aula, fra i quali gli ex ministri Claudio Scajola ed Antonio Martino, ma anche Gianfranco Miccichè, Giancarlo Pittelli e Andrea Ronchi: tre i “responsabili” che hanno dato forfeit e finanche Bossi non è rientrato per votare. In aula c’era invece Silvio Berlusconi, che ha accolto con un gesto di stizza il voto con cui è stato bocciato il primo articolo del rendiconto del bilancio dello Stato, poi ha guadagnato l’uscita, apparentemente adirato con Giulio Tremonti, presente in aula ma assente al voto sul documento di economia e finanza, approvato con due soli voti di vantaggio, e sul rendiconto di assestamento di bilancio, quello costato caro all’esecutivo. «Nessune ragione politica dietro la mia assenza», ha poi chiarito il ministro, ma intanto la frittata era fatta. Mentre Bersani e Fini, quasi in coro, gridavano alla gravità dell’incidente parlamentare, Berlusconi si è diretto nelle stanze del governo dove lo hanno seguito il ministro Tremonti e diversi parlamentari del Pdl e ministri. Sarà la giunta per il regolamento della Camera a esaminare oggi la bocciatura del primo articolo del rendiconto generale dello Stato. «È un problema tecnico che si può risolvere», ha poi minimizzato Berlusconi.
Una nuova fiducia?
Lo scivolone è stato determinato da «assenze occasionali» e dalla bocciatura di un articolo di un provvedimento, «da qui non può derivare la conseguenza che il governo non ha la maggioranza in Parlamento», è la posizione del ministro Ignazio La Russa. «Deciderà il presidente del Consiglio, per me sarebbe corretto mettere subito un voto di fiducia per vedere se il governo c’è o non c’è», aggiunge il titolare della Difesa. Quanto alle assenze di ieri, il coordinatore del Pdl minimizza: «Non c’è nessuna dietrologia da fare, alcuni erano assenti perchè impegnati in attività istituzionali, altri sono arrivati trafelati, un attimo in ritardo, come Tremonti…».
Di “incidente puro, vero e reale, grave”, ma che “non porta con se alcun dato politico”, parla anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini, che, tabulati alla mano e dopo un “consulto” con alcuni deputati di maggioranza, fornisce ai giornalisti la propria lettura aritmetica del voto. «Alla prima votazione – spiega – c’erano 287 deputati nostri e 285 loro. Alla seconda votazione si sono aggiunti 7 nostri deputati e 5 loro, ma quattro dei nostri – Bossi, Cossiga, Gianni e Testoni – non hanno fatto a tempo a votare. Se in questo ci leggete un fatto politico…». Nessuna lettura politica Verdini vede anche per il non voto di Scajola o di Tremonti.
La schiarita con Scajola
Per tre ore a palazzo Grazioli il premier ha incontrato il leader dei “dissidenti” Scajola, con risultati a quanto pare soddisfacenti «È stata una chiacchierata sincera tra amici», ha detto soltanto Scajola al termine dell’incontro. Nella residenza romana del premier erano presenti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il segretario del Pdl, Angelino Alfano, reduce da un incontro con i coordinatori del Pdl, nel corso del quale ha illustrato i programmi politici del premier e del partito rispetto all’agenda parlamentare e all’organizzazione del partito stesso. «Io ti pongo come questione primaria quella dell’allargamento della maggioranza, anche se questo dovesse voler dire un tuo passo indietro. Valuta tu», avrebbe detto Scajola al premier. «Non ti voterò mai la sfiducia, non mi interessano posti al partito e neppure di venire con te al governo, se la strada dovesse essere quella di un Berlusconi-bis», avrebbe ancora detto al premier, cercando di spiegargli che ciò che cerca non sono prebende per sè, ma di contribuire ad un’evoluzione del quadro politico intestandosi il merito di aver fatto una parte importante per un centrodestra nuovo. Si rivedranno in settimana, l’ex ministro ed il Cavaliere. Ma Scajola riferisce ai suoi che Berlusconi gli è sembrato «colpito» dalla franchezza delle sue richieste (quelle programmatiche ed economiche troveranno a breve stesura in un documento che al momento circola ancora in bozze diverse) e che il premier gli avrebbe detto «stai usando gli stessi argomenti che usa con me mio figlio Luigi».
L’avanti tutta del Cav
Nessun passo indietro. Silvio Berlusconi è determinato a chiudere la legislatura e a rilanciare il partito subito, avrebbe assicurato Alfano durante la riunione in via dell’Umiltà con i vertici regionali. Il segretario del Popolo della libertà avrebbe riferito ai presenti l’esito del colloquio di lunedì ad Arcore con il Cavaliere, facendo un parallelo con la situazione politica americana. Obama si trova a fronteggiare una crisi economica più grave della nostra, eppure i repubblicani non gli chiedono certo di dimettersi ma lo aspettano al varco per batterlo semmai alle elezioni, sarebbe stato il ragionamento dell’ex Guardasigilli.
Secondo Alfano, Berlusconi è fermamente intenzionato a portare a termine la legislatura e con essa realizzare 4 «goal» indispensabili per il paese che sono il varo del decreto sullo sviluppo, la riforma del fisco, la riforma dell’architettura dello Stato ed infine quella della Giustizia. Ma in agenda, al primo posto, c’è il decreto legge sullo sviluppo. «Ma non carichiamo questo provvedimento molto importante per il rilancio della crescita di troppe aspettative, visto la delicata situazione economica in cui ci troviamo», ha riferito Alfano, facendo riferimento alla posizione del premier.
La riforma elettorale
Alla riforma dell’architettura dello Stato potrebbe essere abbinata la riforma della legge elettorale, a condizione che si mantenga “linea del Piave” del bipolarismo, ha spiegato ancora Alfano. Riforma che Berlusconi, ha proseguito il segretario pidiellino, intende portare a termine entro il 2013. E proprio alla riforma dello Stato si potrebbe abbinare una riforma della legge elettorale, che tenga naturalmente conto anche dell’esito del referendum.