Il Cav a Bruxelles mentre la sinistra balla sulla crisi
Il Bene e il Male in filosofia, il buono e il cattivo nei film western, Napolitano e Berlusconi in politica. Lo schema del centrosinistra è tutto qui, racchiuso in una propaganda rozza. Il capo dello Stato dice «sono necessarie riforme organiche nell’economia» e viene osannato dalle opposizioni; il premier dice pressoché lo stesso e viene impallinato, anche mentre mette piede a Bruxelles per sciogliere la difficilissima matassa degli interventi contro la crisi. Di questo passo molto presto anche il disastro del Vajont del 9 ottobre 1963 finirà per essere addossato a Berlusconi. La disinformazione, infatti, è arrivata a livelli tali che nessuno se ne stupirebbe.
Un gioco perverso.
È evidente il tentativo di convincere l’opinione pubblica che la madre dei guai è il governo, come se le cose fossero successe tutte negli ultimi tre anni e non fossero invece il risultato di decenni di immobilismo, di pressappochismo, di clientelismo, di cattiva gestione della cosa pubblica. Improvvisamente si scopre che il debito si accumula, che siamo in ritardo con le riforme, che c’è l’evasione foscale. Quasi come se fino a ieri tutto fosse a posto. Si scoprono pure le ingessature al sistema economico e produttivo, la burocrazia imperante, la mancanza di un sistema infrastrutturale. La verità che si cerca di nascondere è facilmente intuibile: il governo si è ritrovato al centro di un disastro economico mondiale e ha tentato di tutto per evitare ricadute pesantissime sulla gente.
Una commedia recitata male
Le opposizioni, un certo mondo dell’imprenditoria e del sindacalismo di casa nostra, consumatori e Confcommercio fanno finta di non accorgersi di tutto questo e si esercitano al tiro al piccione nei confronti del governo, mandando in scena la fiera delle verità addomesticate e delle cose scontate. Uno sport che va di moda, anche se non aiuta a risolvere i problemi. Per il bene di tutti sarebbe invece il momento di dire basta a chi scopre che l’acqua è fredda d’inverno e calda d’estate e che se continua a piovere finiremo per bagnarci. Strumentalizzare Napolitano per farne il contraltare di Berlusconi ha poco senso. Spesso il presidente della Repubblica, a cui sicuramente va il rispetto di tutti, fa considerazioni che farebbe anche il buon padre di famiglia. Non è l’Oracolo infallibile da contrapporre a chi mette in fila una gaffe dopo l’altra. Voler dare questa sensazione non giova a nessuno e tanto meno all’Italia. Non si capisce che cosa ci sia di rivoluzionario nell’affermare, come ha fatto ieri l’inquilino del Colle, che non è il momento di «tergiversare su riduzione del debito e riforme», che «bisogna compiere un salto di qualità», che servono «risposte credìbili». C’è un solo problema, costituito dal fatto che nulla si fa se non si mettono le cose a posto.
Palazzo Chigi non ha mollato
Il governo ci sta provando. Con due manovre effettuate in rapida successione questa estate ha messo in piedi una correzione che in quattro anni (2011-2014) vale 145 miliardi, che adesso scopriamo insufficiente a causa dell’incancrenirsi delle difficoltà. Colpa dell’Italia? No, stanno male anche gli altri partner di Eurolandia, a cominciare dalla Francia. Il Belpaese, comunque, il suo dovere intende farlo tutto, per intero. Quello che è stato messo in cantiere ci consentirà di anticipare il pareggio di bilancio nel 2013, il resto verrà con le misure che l’Europa ci ha richiesto e il decreto sullo sviluppo in preparazione. Ma se ci sarà bisogno l’Italia è pronta a intervenire ancora. Al termine di una difficile giornata di consultazioni, nella maggioranza e nel governo, Berlusconi ha messo nero su bianco il programma per centrare gli obiettivi che ci vengono richiesti. Quattordici pagine in tutto, che lo hanno preceduto a Bruxelles e che i partecipanti al vertice di ieri hanno avuto modo di esaminare prima dell’inizio dei lavori, nel tardo pomeriggio, a cui ha preso parte anche Silvio Berlusconi. Niente elenchi della serva, ma un impegno preciso: il pareggio di bilancio sarà centrato nel 2013, costi quel che costi, anche con misure aggiuntive.
Ricetta per la Ue
Pur rimanendo sulle generali il presidente del Consiglio scrive che a partire dal 2026 l’età pensionabile sarà portata a 67 anni, mentre il percorso di aumento dell’età delle donne del privato a 65 anni dovrebbe iniziare nel 2012 invece che nel 2014. Dal 2026, dunque, gli italiani, uomini e donne, dovrebbero andare in pensione a 67 anni, nonostante il nostro sistema di previdenza, dopo le riforme degli ultimi anni, abbia riscosso gli apprezzamenti di Bruxelles e dell’Ocse. Tutto qui? No. C’è anche una stretta sul pubblico impiego, con l’obiettivo di ridurre il numero dei dipendenti. Arriva la mobilità obbligatoria del personale, mentre da maggio 2012 erranno riviste le norme sui licenziamenti, abolendo in caso di difficoltà economiche dell’azienda il diritto di reintegro e sostituendolo con un equo indennizzo, le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, la riforma delle professioni, con l’abolizione delle tariffe minime, tre anni di dismissioni per 5 miliardi l’anno. E, poi, il piano crescita entro il 15 novembre. Il governo intende operare attraverso quattro direttrici in otto mesi. È previsto il rilancio della questione infrastrutture e delle norme sulla semplificazione, contratti agevolati di inserimento, per far crescere il tasso di occupazione, in particolare quello femminile, la riduzione dei contributi sull’apprendistato, misure per frenare l’abuso dei contratti atipici e favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, la rimozione di vincoli e restrizioni alla concorrenza. Anche il Sud e le aree sottoutilizzate avranno la loro parte: si prevede il credito d’imposta sulle assunzioni. Per la delega fiscale il segnale verde arriverà entro il 31 gennaio prossimo, quindi con tempi compatibili all’emanazione dei provvedimenti delegati entro il 2012. E dal 2013 verranno introdotte zone sperimentali a burocrazia zero. Non è quindi un libro dei sogni, come l’hanno definito Casini e Bersani. Il testo è stato accolto con molto favore dai leader della Ue.
Misure coraggiose
«Misure coraggiose e importanti». Lo certifica Mario Draghi, neo-presidente della Bce, che punta l’accento sulla necessità di farle con «rapidità e concretezza». La lettera contiene almeno un paio di «riforme organiche dell’economia». Il passo più importante? Quello sui giovani: «Bisogna adottare politiche inclusive». E il ministro Maurizio Sacconi chiosa: ha ragione, ma è doveroso ribadire «la priorità di percorsi educativi integrati con esperienze lavorative e di riforma del lavoro, come ci siamo impegnati di fare con Bruxelles, che superino il dualismo regolatorio a danno dei più giovani». A un Draghi che sottolinea il problema si accompagna un governo che con realismo tenta di affrontarlo. Una risposta concreta anche a Napolitano che ieri ha sostenuto che «se l’Italia è cosciente delle sfide che ha davanti, dev’essere capace di formulare le ricette necessarie». Resta un punto fermo: la crisi non è nata in Italia.