Macché Black Bloc, ecco chi sono i violenti di sabato
Qualcuno deve aver visto troppi film di ninja. Sì, i ninja, le spie del Giappone feudale. Volto travisato, identità misteriosa, si calano dai tetti quando meno te lo aspetti, tirano fuori armi terribili dalle loro uniformi nere, colpiscono per conto dei loro misteriosi padroni e svaniscono nel nulla. Ecco, per certi commentatori della giornata di follia vissuta sabato a Roma, i black bloc sono come i ninja: emergono dal nulla nei cortei pacifici, colpiscono e svaniscono nel nulla. Nessuno li conosce, nessuno sa chi siano. Vengono dall’ombra e tornano nell’ombra. «Sono poliziotti», «no, sono fascisti», si sibila nella rete senza tanta convinzione. Spunta una foto col solito personaggio misterioso col volto cerchiato. «È un infiltrato, prima parlotta con i poliziotti, poi è fra i devastatori», dicono. Si scoprirà che è un cronista del Tempo. Come il “ragazzo col giaccone beige” del 14 dicembre: un giovane attivista arrestato poco dopo.
No Tav, Antifà, Rash, Csoa…
Eppure basterebbe un po’ di documentazione unita all’onestà intellettuale per capire chi sono realmente i presunti “black bloc”. Anche perché spesso sono loro stessi a dircelo. Nelle foto diffuse da Repubblica, ad esempio, si vede chiaramente lo spezzone antagonista che si compatta ed espone due bandiere dei No Tav. Salvatore Arduino, portavoce del movimento, dice al Fatto quotidiano che si tratta di infiltrati (ancora!). Ma è lo stesso sito notav.info a rispondergli: «Una visione riduttiva e semplificante vede nel mostro black bloc la risposta. Facile, troppo facile». Tra le scritte vergate sui muri si riconoscono le tre frecce dei Rash (Red and Anarchist Skin Heads), ovvero skin di sinistra che L’Unità attribuisce all’estremismo… fascista, meritandosi sul web la tirata d’orecchie della Rash Roma. Alcune scritte recitano “Antifà Teramo” o “Terzigno resiste”. Nel corteo, peraltro, i casinisti non si materializzano dal nulla. Tutte le testimonianze, infatti, collocano i “neri” dietro al camion che apriva lo spezzone di San Precario. Ed è sempre lì che, secondo il resoconto di Marco Imarisio, del Corriere della Sera, «una portavoce degli incappucciati è salita sul camion di San Precario e ha preso il microfono. “E domani che nessuno si azzardi a dire che eravamo un gruppetto ai margini del corteo”». San Precario, cioè il centro sociale Acrobax, per parlare chiaro. Che, dal canto suo, “non conferma e non smentisce”: «A chi ci indica come regia di una presunta escalation del livello di scontro raggiunto dalla manifestazione – scrivono – rispondiamo che è semplicemente impossibile e fuori da ogni logica che una struttura cittadina possa organizzare una parte così ampia della manifestazione. Nel corso del corteo si sono date delle azioni diverse dai livelli che noi abbiamo praticato o condiviso con la nostra rete. Non ci interessa entrare nel dibattito buoni e cattivi, violenza o non violenza che riteniamo molto strumentale e invece sicuramente molto più interessante è il ragionamento su come costruire relazione, condivisione e partecipazione in situazioni analoghe».
«Infiltrati? Macché, eravamo noi»
Ricapitoliamo: antifascisti, No Tav, attivisti campani anti-discariche, centri sociali, skin di sinistra. Del resto, facendosi un giro in rete, non è difficile trovare rivendicazioni piuttosto esplicite e compiaciute delle devastazioni. Il centro sociale torinese Askatasuna, per esempio, scrive sul suo sito: «La giornata di oggi, piazza San Giovanni nella fattispecie, si è trasformata in ore di resistenza di massa alle forze dell’ordine, chiamate a respingere una rabbia sacrosanta verso un presente di austerity». Il collettivo romano Militant, dal canto suo, rispedisce al mittente le teorie sull’origine “altra” dei teppisti: «Cominciamo col dire che in piazza non c’erano né buoni né cattivi. Così come non c’erano i black bloc infiltrati, i poliziotti provocatori, gli ultras fascisti… o gli extraterrestri venuti da Marte a rovinare il corteo […]. In realtà, almeno per come la vediamo noi, è accaduto quello che era già successo il 14 dicembre scorso. La piazza ha esondato e scavalcato ogni struttura, gruppo, sindacato o partito; ha ignoranto accordi presi in riunioni o assemblee di cui forse neppure era a conoscenza e ha praticato la propria rabbia spontaneamente e nell’unica forma concreta in cui gli era possibile».
I fratelli maggiori
Insomma, al netto del politichese, del sinistrese, del sociologhese e di quel minimo di furbizia per evitare la confessione on line, sembra che i “black bloc” abbiano volti, nomi e indirizzi ben precisi, apertamente svelati dagli stessi protagonisti. Il ritratto dell’attivista medio, peraltro, parla di ragazzi molto giovani. La cosa è verosimile, in effetti. Ciò non toglie che questi ragazzini terribili abbiano “fratelli maggiori” ben precisi. Cattivi maestri. Ispiratori occulti o palesi. Politici o intellettuali indulgenti. Prendiamo Piero Bernocchi, lo storico leader dei Cobas, impegnato sabato a isolare i violenti. Ma è lo stesso Bernocchi che nel 2008 troviamo in piazza mescolato ai ragazzi dei collettivi del liceo romano Virgilio (oggi verosimilmente universitari) a far da portabandiera all’antifascismo più becero contro gli studenti del Blocco Studentesco che qualche ora dopo verranno assaltati dagli estremisti rossi. Insomma, hai voglia a “isolare” e “dissociarsi”: il filo rosso con l’antagonismo “antifà” è in bella evidenza. Altri sono stati persino più espliciti. È il caso di Andrea “Tarzan” Alzetta, militante del collettivo Action, che al Corriere della Sera ha confessato: «Io non faccio la spia, e i conti preferisco regolarli dentro casa ma quei ragazzi incappucciati che hanno fatto gli scontri sono i nostri figli e fratelli minori». Più chiaro di così… Uscendo dall’orbita romana, invece, sarebbe il caso di rileggersi qualche notizia della vigilia alla luce dei fattacci di sabato. Pensiamo ai lanci d’agenzia che annunciavano trionfalmente la partenza di 20 autobus da Napoli. A gestire il tutto il comitato “Uniti per l’alternativa”, che raccoglie studenti dell’Orientale e della Federico II, le reti degli indignati napoletani Reclaim e Precaria, il centro sociale Insurgencia, i comitati antidiscarica di Chiaiano. E, sorpresa, insieme a loro è venuto a Roma il sindaco di Napoli De Magistris: «La mia non è una partecipazione estemporanea – aveva dichiarato il primo cittadino partenopeo – sono sempre stato vicino ai movimenti, forse più vicino a loro che ai partiti, pur riconoscendone l’importanza». Insomma, il sindaco sceriffo che sostiene e garantisce il cuore pulsante dell’antifascismo violento napoletano, che dopo decine di prepotenze praticate in Campania è venuto a Roma per recitare, secondo tutti gli analisti più attenti, la parte del leone. Comodo, quando hai dalla tua politica e magistratura. Uniti in una sola persona.