Tattica fantozziana dell’opposizione
La tattica era stata studiata a tavolino nella notte e partorita dalle menti più brillanti dell’opposizione, i maghi Otelma dell’imboscata parlamentare, i Beppe Furino dello sgambetto berlusconiano: sabotare il numero legale. È finita con una disfatta, i radicali che partecipano al voto, tutta l’opposizione che a quel punto si precipita a dire “no” almeno per lasciare una traccia numerica della propria esistenza, mentre fuori dall’aula si scatena la bagarre culminata con il turpiloquio, quello dell’insospettabile Rosi Bindi che dava degli “stronzi” ai radicali. Ma la replica a distanza di Pannella, che parlava di “ennesimo regalo a Berlusconi”, era una mattonata al cuore del Pd. La nota surreale di Dario Franceschini chiudeva un’altra giornata da incubo per le opposizioni: «In questi giorni abbiamo fatto un efficace lavoro di squadra che fa ben sperare per il futuro». Efficace, se non fosse per il particolare che Berlusconi non è caduto, anzi, s’è pure un po’ allargato con la maggioranza rispetto al voto del 14 dicembre dello scorso anno, quello dello scontro finale con Fini. Tutta la macchina da guerra di Pd, Idv e Terzo polo – alimentata da articoli di stampa allarmistici su defezioni, strappi e transumanzie possibili nella maggioranza – prevedeva che non si votasse per provare a far scattare la mancanza del numero legale, fissato a quota 315, annullando così il voto di fiducia. Ma l’errore di valutazione è stato doppio, e clamoroso: in primis, i radicali sospesi dal gruppo, che già giovedì avevano disatteso l’indicazione di disertare l’aula, ieri hanno deciso di votare (coerentemente no alla fiducia) e in più la stessa maggioranza ha portato a casa i 316 voti che erano sufficienti a vanificare l’imboscata delle opposizioni.
I “congelati” si infiltrano nell’aula
Erano quasi le 14 quando i cinque parlamentari “congelati” dal Pd, ma fin troppo caldi di polpastrelli, si infilavano nel corridoio accanto del Transatlantico e di corsa salivano le scale per l’ingresso laterale dell’aula di Montecitorio. «I radicali stanno entrando», gridava qualcuno tra il chiasso delle decine di deputati dell’opposizione che affollavano il Transatlantico. Roberto Rao dell’Udc era tra i più pronti a scattare e provava a inseguire il radicale Matteo Mecacci per fermarlo. Niente da fare. Ed esplodeva la rabbia dei deputati del Pd. Esclamazioni pesanti e pure qualche insulto nei capanelli dell’opposizione.
Il duetto tra Lupi e Bindi
«Ora che hanno votato i radicali entrate, non restate qui. Fate presto». Così un sorridente Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera in quota Pdl, si era rivolto all’ingresso dell’emiciclo alla presidente dell’Assemblea del Pd, Rosy Bindi. Lei allargava sconsolata le braccia e poi, quando Lupi con una battuta le faceva presente che «i voti sono voti», lei replica ironicava: «No, gli stronzi sono stronzi». La tattica, concordata da Pd, Idv, Udc, Fli, Api, Mpa e Libdem, poggiava sulle possibili assenze dei “malpancisti”, ma non è andata secondo le aspettative. Marco Pannella, del resto, già ieri sui giornali aveva dato la linea ai suoi: niente tatticismi, l’aula va rispettata. «Non possiamo fare di mestiere quelli che salvano i carcerati e i Democratici. Sono riusciti a ragalare di nuovo al povero Berlusconi un altro successo», ha poi commentato, pungendo i suoi alleati: «Sospetto che ci sia del masochismo, anche quando l’altro è ridotto a polpette , quelli che sono mangiati sono loro».
Dalla querelle alla querela?
La tesi del Pd è che i radicali siano stati determinanti per la tenuta del numero legale durante il voto di fiducia al governo creando una sorta di “effetto traino” per quota 315. Il primo deputato radicale che ha votato è stato Marco Beltrandi, per 298esimo. Dopo di lui ci sono stati gli altri voti radicali e 14 della maggioranza. Dopo questo gruppo hanno votato gli altri radicali Matteo Mecacci e Elisabetta Zamparutti e i due nelle minoranze linguistiche Brugger e Zeller. Dopo questi ultimi, è stato il turno di Saltamartini e Sammarco, entrambi del centrodestra, e così si è chiusa la prima chiama con 315 sì e sette “no”. L’altro indeciso Michele Pisacane (Pt) ha risposto solo alla seconda chiama. Dunque? «I deputati radicali sulla fiducia al governo Berlusconi hanno votato contro. Lo hanno fatto non appena è finita una riunione che si è resa necessaria dopo che, alle 9.30 circa del mattino, Dario Franceschini ci ha comunicato, come se fossimo a sua disposizione, le intenzioni delle opposizioni di tentare di far mancare il numero legale», ha polemizzato Maurizio Turco, che poi ha approfondito il dato numerico. «Alla fine della seconda chiama i numeri sono stati i seguenti: presenti e votanti 617, maggioranza 309, hanno risposto sì 316, hanno risposto no 301. Sulla base di questi numeri e visto che i radicali presenti erano 5, essendo Elisabetta Zamparutti impegnata in Ruanda, ed avendo votato no, per chi ha rudimenti aritmetici tirarli in ballo per attribuirgli chissà quali responsabilità è frutto di un misto tra ignoranza e malafede. Dunque i radicali non sono stati in alcun modo determinanti: nè al raggiungimento del quorum nè a quello della fiducia». E annunciano querela per chi dovesse diffondere notizie false.
E il Pd, ovviamente, si spacca
Dalle accuse iniziali di “intelligenza col nemico”, corroborata dagli epiteti della Bindi, il Pd ha innescato lentamente la retromarcia, fino ad assumere una posizione rancorosa ma razionale, sul dato numerico: «Io ho fatto una constatazione aritmetica sul numero legale raggiunto dalla maggioranza senza il voto dei radicali. La gravità della loro scelta politica, fatta come sempre senza comunicarci nulla, resta enorme», dice Dario Franceschini, quello che aveva la responsabilità di “inchiodare” i radicali alla strategia notturna. E in serata anche Bersani cambia rotta: «Non sono stati determinanti i radicali». Poi c’è anche chi nel Pd difende apertamente i dissidenti. Come Roberto Giachetti, ex radicale, che spiega: «Milo ha deciso la partita, Pisacane ha garantito al governo la maggioranza assoluta. Mentre i radicali dal punto di vista sostanziale sono stati assolutamente irrilevanti», spiega il segretario d’aula del Pd, che sbandiera i tabulati per smentire chi afferma che siano stati i cinque deputati radicali a garantire al governo il numero legale sul voto di fiducia. La decisione dei radicali di entrare in aula, sostiene Giachetti, ha un valore politico, «ma non ha avuto in concreto riflessi sul numero legale».