I dannati del coltan: in miniera per 9 cent
In questi giorni è in programmazione nelle sale cinematografiche britanniche il documentario Blood in the Mobile, una pellicola diretta dal regista danese Frank Piasecki Poulsen per raccontare lo sfruttamento del lavoro minorile nella produzione dei cellulari. Nel testimoniare questo problema, che ha ormai assunto dimensioni internazionali, il cineasta focalizza la sua attenzione sui bambini che lavorano fino a settantadue ore consecutive nelle miniere di Bisie in Congo per estrarre il coltan (columbite-tantalite) un minerale da cui si estrae il tantalio, un conduttore termico usato per fabbricare i condensatori dei cellulari.
Nella sua denuncia Poulsen chiama in causa la Nokia, pur spiegando, in un’intervista rilasciata alla Bbc, che la scelta del colosso finlandese della telefonia mobile è del tutto casuale perché il problema riguarda tutti i produttori di apparecchi cellulari. Anche se alla vigilia della prima del film, il produttore Ole Tornbjerg ha dichiarato che l’anno scorso Nokia aveva promesso a uno dei più importanti quotidiani danesi di fermare questi abusi, però a oggi non ha ancora avviato il processo di revisione dei contratti minerari. Uno dei problemi maggiori dello sfruttamento di questo minerale è che contiene una parte di uranio, quindi è radioattivo e spesso viene estratto a mani nude dai minatori congolesi, tra i quali si sono registrati numerosi casi di tumore e impotenza sessuale. Senza contare che per nutrire questa massa di improvvisati minatori, i cacciatori stanno sterminando la fauna selvatica dei parchi nazionali della zona. In particolare, secondo una denuncia del Wwf, la fauna del Parco nazionale di Kahuzi-Biega e della riserva naturale di Okapi sarebbe a rischio di estinzione a causa dell’estrazione del coltan.
L’aspetto più inquietante della questione è insito nel fatto che i più ricchi giacimenti di coltan si trovano nelle zone orientali della Repubblica democratica del Congo (RdC), dove tuttora permane una situazione di conflitto. Non a caso, il mercato illegale del coltan è gestito in parte dalle Forces Démocratiques de Libération de Rwanda (Fdlr), una milizia hutu che conta tra i suoi soldati gli “interahamwe” colpevoli del genocidio in Rwuanda del 1994 e che continua a perpetrare gravi violazioni dei diritti civili in RdC, ma vi sono altresì forti sospetti sull’esercito regolare congolese (Fardc) che non solo avrebbe fornito armi e una complice impunità ai membri delle Fdlr, ma che sarebbe direttamente coinvolto nei traffici illeciti.
In un Paese normale l’estrazione del coltan porterebbe ricchezza e benessere, ma in Congo si trasforma in un incubo per la popolazione, alimentando i conflitti locali e lo sfruttamento delle persone.
Secondo quanto riporta un recente rapporto di Watch International, i locali percepiscono appena duecento franchi congolesi (0,18 euro) per ogni chilogrammo di coltan estratto. Sul mercato il prezzo attuale del coltan varia tra i 400 e i 600 dollari al chilo. In alcuni casi, specialmente in quelli in cui vengono impiegati bambini, la paga è giornaliera e comprende un pasto e 100 franchi congolesi (0,09 euro) al giorno.
Come documentato da Blood in the Mobile, le vittime più numerose del coltan sono proprio i bambini che, grazie alle loro piccole dimensioni, si calano nelle strettissime buche scavate nel terreno ed estraggono le grosse pietre che una volta frantumate daranno il prezioso minerale. Spesso vengono rapiti dai gestori delle miniere e trasformati in schiavi, in altri casi vengono venduti dalle loro stesse famiglie per pochi dollari, con il medesimo risultato finale.
È dunque evidente che quando si parla di coltan insanguinato non si parla solo dei microconflitti regionali per il controllo delle aree minerarie, si parla anche delle migliaia di morti che costa l’estrazione e il trasporto del minerale dalle zone di estrazione alle aree di carico. Infatti anche i portatori, costretti a fare lunghissimi viaggi a piedi in mezzo alla foresta per portare il minerale fino agli aerei cargo, sono spesso vittime di incidenti o semplicemente della stanchezza. Il tutto per la modica cifra di 250 franchi congolesi (0,22 euro) al chilogrammo.
La protesta internazionale ha spinto i principali produttori di telefonini a rassicurare i consumatori che i loro condensatori non contenevano coltan importato dall’RdC. Ma i rapporti della ong Global Witness testimoniano come le multinazionali dell’elettronica non si facciano scrupoli nel comprare il coltan insanguinato per risparmiare qualche dollaro al chilo. Infatti se il mercato ufficiale del prezioso minerale ha prezzi più o meno definiti, quello che si compra sul mercato nero costa circa il cinquanta per cento in meno.
Senza un serio programma di certificazione delle dichiarazioni dei produttori non c’è modo per i consumatori di sapere da dove arrivi il coltan dei loro telefonini, soprattutto alla luce del fatto che stime attendibili indicano che nella RdC vi siano l’ottanta per cento delle riserve mondiali.
L’approvazione di un protocollo di controllo della provenienza del coltan, congeniato sulla falsariga del protocollo di Kimberley per i diamanti, potrebbe contribuire sensibilmente a interrompere la spirale di violenza in RdC legata al controllo delle miniere di coltan. Ma forse, anche a causa dell’ostracismo delle potenti lobby dell’elettronica, l’approvazione della proposta continua a slittare di mese in mese.