«È stata una montatura, vi spiego che cos’è veramente successo»
Berlusconi fa inabissare l’Italia ed è una “zavorra” per l’Europa, titolavano all’estero e il quotidiano La Stampa, il giornale della Fiat, non un organo di informazione qualunque. Eppure, a pochi giorni dalle sue dimissioni, lo spread continua a salire, altri paesi dell’eurozona sono in grave difficoltà o in procinto di entrarci e i mercati continuano a dare segnali di sfiducia nei nostri confronti e non solo. Anche il differenziale tra i Bund e i titoli di Stato che un tempo sembravano sicurissimi come quelli di Austria, Olanda, Belgio e Francia fa segnare livelli record. Allora, com’è questa storia? Non era il governo Berlusconi il problema della crisi, anzi delle due crisi, elemento che pochi precisano, che si sono abbattute sul mondo, quella del 2008 e quella del 2011. Per questo con l’aiuto del vicepresidente della commissione Bilancio alla Camera, Giuseppe Marinello, ripercorriamo le tappe del percorso che ci ha condotto fin qui, per chiarire i passaggi critici e per porre nei giusti termini le caratteristiche di una crisi globale.
Marinello, per capire a che punto siamo arrivati, dobbiamo fare un passo indietro fino alla crisi del 2008, che fu una crisi del credito. Come andarono le cose e di chi fu la “colpa”?
Fu una crisi innestata dalla bolla immobiliare americana: le banche avevano concesso mutui senza adeguate garanzie, con un sistema di carte di credito “a scopertura”, ossia senza capacità reddituale. Questo fece aumentare il volume degli scambi, ma quando tutto, come succede nell’andamento ciclico dei meccanismi economici, è tornato al punto di partenza, ossia al rientro dei capitali, il sistema bancario collassò e l’insolvenza delle famiglie americane è diventato un fenomeno diffuso che si è ripercosso in tutto il mondo. Il fallimento della Lehman Brothers, che aveva piazzato in Europa titoli “tossici”, ha fatto entrare in fibrillazione tutto il sistema bancario.
Berlusconi fu “crocifisso” per aver detto che l’Italia aveva retto bene e che rispetto ad altre nazioni era stata meno sfiorata da questa crisi grazie al risparmio familiare. La verità?
È proprio questa. Intanto il quantitativo di titoli “tossici” in Italia era inferiore rispetto a quelli presenti nelle banche di altri stati. I nostri istituti di credito disponevano di denaro “vero”, i risparmi delle famiglie, garantendo tutto il sistema bancario. Tant’è vero che l’Italia fu l’unico Stato a non dover intervenire per la ricapitalizzazione delle banche.
Il governo prese delle misure in quell’occasione, o sottovalutò o negò la crisi, visto che questo è il messaggio lasciato passare?
Nessuna sottovalutazione, tutt’altro. Con la legge 112 del 2008 e nella Finanziaria abbiamo irrigidito il sistema economico, ossia ridotto il flusso di spesa, potenziando fino a 30 miliardi in due anni e mezzo gli ammortizzatori e i fondi per la cassa integrazione, perché sapevamo che le imprese in difficoltà vi avrebbero fatto ricorso. Abbiamo ridotto la capacità produttiva per garantire le famiglie. Fu una scelta logica.
E arriviamo alla crisi del 2011, quella dei debiti sovrani, con l’attacco concentrico subito dall’Italia da parte della speculazione finanziaria e con lo spread che s’innalza e s’abbassa a ritmo forsennato. Il cavaliere è l’imputato numero uno di tutto ciò?
Direi che non c’entra nulla. La genesi di questa crisi sta in due motivi che si sono ad un certo punto intrecciati. Da un lato, nell’origine viziata del processo che portò alla moneta unica: non noi, ma molti osservatori rilevarono che si era stabilta una parità molto alta tra gli stati, che favoriva alcuni più di altri, come Germania e paesi scandinavi; si stabilì, quindi, un percorso che entro il 2013 avrebbe dovuto portare a un rientro dei debiti sovrani e a un abbassamento al di sotto del 3 per cento del rapporto tra debito e Pil. Tutto questo avrebbe dovuto riallineare gli stati membri entro questi parametri di virtuosità. Ma questo non è stato possibile perché – questo il secondo motivo intervenuto – l’«onda lunga» delle crisi innestatasi dal 2001 all’indomani delle Torri Gemelle, fino al 2008, ha portato una contrazione dell’economia reale e del Pil che ha messo in crisi tutto il mondo. In Europa quegli stati come il nostro che avevano uno dei più alti debiti pubblici, anche se non il più alto, ne hanno risentito. Questo ci ha esposto a una maggiore aggressione speculativa.
Ci spieghi questo passaggio e soprattutto: c’entra qualcosa Berlusconi con l’innalzarsi dello spread?
Non c’entra nulla, come dimostra il fatto che continua a salire nonostante Berlusconi abbia fatto un passo indietro. Il problema dell’aggressione speculativa che ci vede coinvolti nasce dal fatto che l’Italia ha una gran parte del suo debito all’estero, circa il 45 per cento. Gli investitori stranieri ci vedono “appesantiti” da questo debito e, quando devono rinnovare o fare operazioni economiche, i mercati pretendono dall’Italia un tasso di interesse più alto, perché c’è una maggior rischio. Ecco, lo spread è il differenziale tra quanti interessi paghiamo in più rispetto a quello che viene considerato il titolo maggiore, in questo caso i bund tedeschi.
Che cosa avrebbe potuto o dovuto fare il governo?
Riforme strutturali che consentissero di controllare la spesa e il debito pubblico: abbassare il costo del lavoro, aumentare la produttività, tagliare le spese.
Cosa ve l’ha impedito?
Per fare questi interventi strutturali c’è bisogno di larghe maggioranze. La scissione del presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha influito sull’azione di governo. Siamo passati da 340 deputati a 308 ed è subentrata una rincorsa al voto, ai “numeri” che non ha consentito di mettere mano alle riforme che servivano.
Andrà nella direzione auspicata il governo Monti?
La direzione obbligata è reperire i soldi: la riforma delle pensioni e la riqualificazione delle spesa mi sembrano misure giuste. Sulla patrimoniale ci confronteremo.