Cesare Cursi: «Dalla politica una lezione ai professori»
Aveva accolto Monti con il sorriso, gli aveva fatto da anfitrione in Commissione Industria, aveva scambiato con lui parole di cortesia e anche qualche riflessione sul tema della nostalgia, quella della Bocconi, dell’insegnamento agli allievi un po’ indisciplinati che oggi somigliano tanto a quei politici con i quali il Professore si ritrova a confrontarsi alla pari. Ma una volta salutato il premier sull’uscio del Senato, Cesare Cursi aveva proseguito senza remore nel suo lavoro, più o meno oscuro, di taglia-emenda-e-cuci il decreto sulle Liberalizzazioni: correzioni, cancellazioni, mediazioni, fino a far partorire alla Commissione da lui presieduta, nella tarda serata di martedì, un testo che oggi definisce “decoroso, equilibrato”. «È una una risposta a chi parla male della politica, una conferma del ruolo istituzionale del Senato, una piccola rivincita anche sui tecnici, sì, perché no…», sorride Cursi dietro la scrivania della sua segreteria, in una pausa dei lavori dell’aula, che già oggi potrebbe ascoltare la richiesta del voto di fiducia da parte del governo. «Fiducia sì, ma sul testo nostro, quella della Commissione, chiaro?», puntualizza il senatore capitolino del Pdl.
Chi ha vinto, al Senato?
La politica, sicuramente. Abbiamo corretto norme poco chiare e riscritto altre, difeso il lavoro e colpito i poteri forti, senza nessuno scrupolo ad andare contro il governo quando c’era da apportare miglioramenti.
Il Pdl che ruolo ha giocato?
Abbiamo incalzato il governo soprattutto laddove aveva dato segnali sbagliati al Paese, come nel caso delle professioni: sembrava quasi che volessero liquidare gli ordini. Noi abbiamo ammorbidito le posizioni e, quando è stato necessario, come per banche e assicurazioni, abbiamo operato in favore dei cittadini. È stato un lavoro collegiale, anche delle altre Commissioni, visto che il testo era affidato alla nostra, la Decima, ma altre, in particolare Sanità e Giustizia, ci hanno dato contributi importanti, così come i nostri uffici. E devo dire grazie anche ai senatori che hanno voluto partecipare ai lavori della Commissione Industria senza farne parte, per spirito di servizio.
E sui taxi e le farmacie? Dove sbagliava il governo?
Si era partiti con un’operazione che voleva ammazzare la categoria dei tassisti, affidando il parere obbligatorio e vincolante all’Authority: noi invece ci siamo allineati alle posizioni dei sindaci delle grandi aree, come Alemanno a Roma e Fassino a Torino, in modo bipartisan: loro chiedevano che il parere sulle licenze non fosse vincolante e che le decisioni spettassero agli organi territoriali, il sindaco, il consiglio comunale, che conoscono a fondo le problematiche della categoria. Alla fine abbiamo trovato la soluzione migliore, la più equilibrata.
C’era accanimento anche contro i farmacisti?
Bè, inizialmente sembrava che la volontà del governo fosse quella di colpirli, considerandola una impresa qualsiasi: noi invece abbiamo riaffermato, cercando anche una mediazione col Pd, che aveva posizioni molto diverse dalle nostra, il principio della farmacia come presidio sanitario sulla base degli abitanti, evitando mercanteggiamenti e strumentalizzazioni. Ma abbiamo inserito anche un criterio importante per le parafarmacie, gestite spesso da farmacisti, alle quali abbiamo dato la possibilità di partecipare a un concorso nazionale per l’apertura di nuove farmacie, riconoscendogli un un punteggio in più.
Resta aperta la questione della tesoreria unica, su cui i sindaci minacciano di fare le barricate.
Forse non è stato spiegato bene che quella del governo è stata una decisione dettata dall’emergenza: senza quella soluzione forse oggi lo Stato non avrebbe i soldi per pagare gli stipendi.
La Lega parla di rapina al nord, annuncia la “class action”, ma anche Alemanno protesta.
Guardi, fino a ieri pomeriggio c’erano in questa stanza il sottosegretario Polillo e il leghista Garavaglia, ho mediato fino alla fine per un ordine del giorno che garantisce il ritorno della Tesoreria agli enti locali una volta passata l’emergenza. Da presidente della Commissione in questi giorni ho cercato di fare parlare tutti, di avere un rapporto corretto anche con Lega e Idv, che erano contrari al decreto. E credo che i risultati si siano visti.
C’è un punto su cui s’è speso personalmente?
Sull’articolo 62, quello sulla distribuzione: abbiamo cercato di cercato di garantire i pagamenti, entro 30 giorni per le merci deperibili e di 60 per quelle non deperibili, al settore dell’agroindustria, sostenendo uno specifico emendamento del ministro. C’era chi invece voleva privilegiare le Coop, la Conad, Auchan, potete immaginare chi. Ma vado anche molto orgoglioso delle cinquanta audizioni svolte: abbiamo ascoltato tutti, ma proprio tutti.
Tipo?
Solo per i tassisti abbiamo ascoltato tredici sigle diverse, ma da noi hanno parlato perfino i carrozzieri delle auto, a cui peraltro abbiamo riconosciuto le giuste ragioni su quell’articolato che diceva che le assicurazioni dovevano rimborsare chi accettava il pagamento diretto, ammazzando il loro lavoro.
L’ha sorpresa l’arrivo di Monti in Commissione?
Sinceramente sì. Mi ha avvisato il presidente Schifani un quarto d’ora prima, io gli ho chiesto, come mai viene? Ovviamente il motivo era quello della delicata questione dell’Imu, ma è anche vero che voleva dare un segnale di attenzione al Parlamento.
Da presidente della Commissione, lei ha subìto l’assedio dei lobbisti?
No, e comunque fanno il loro lavoro, non mi sconvolge, sono maggiorenne, le vere lobby, quelle dei poteri forti, stanno fuori dal Parlamento. Se bastasse prenderci sotto braccio…
Lei è contento del governo tecnico?
Inizialmente ero scettico, oggi lo giudico sui risultati, che peraltro ancora dobbiamo vedere. Come sull’articolo 18: spero che non si stia perdendo tempo a parlarne tanto per parlarne.