Cazzola: «Troppi pasticci nella flessibilità in entrata»
«La questione dell’articolo 18 è pasticciata, ma io sono soprattutto, veramente, più rattristato che inquieto per quello che hanno fatto sulla flessibilità in entrata. Nemmeno Damiano, ai tempi del governo Prodi, si era azzardato a fare tanto. Mi meraviglio che persone come queste – professori, intellettuali – abbiano una rappresentazione del mondo del lavoro come quella che si vede in tv». Giuliano Cazzola lo dice senza remore: «La riforma del mercato del lavoro così non va».
Cos’è, in particolare, che non va?
Non va in generale, perché è totalmente scollegata dalla realtà. Faccio un esempio, noi abbiamo tra i 400mila e i 500mila associati in partecipazione, ora la proposta di riforma dice che se non si è familiari non si può più essere associati in partecipazione. C’è qualcuno, che vive in questo mondo, che si domanda se sia mai possibile che dalla sera alla mattina queste persone diventino tutte dipendenti a tempo indeterminato in base a una norma?
Evidentemente c’è…
Sì, ma ha l’idea che si possa intervenire giacobinamente con una norma, che questo basti a far cambiare all’improvviso lo stato delle persone. Nella realtà non succede. Nella realtà non succedono molte delle cose che loro presumono e il risultato è, per esempio, che per colpire la flessibilità cattiva si creano ostacoli a quella buona. Prendiamo i casi che vengono considerati più anomali: le partite Iva. Oggi c’è una presunzione di legge in base alla quale quelle che secondo me sono le partite Iva “buone” vengono presunte come irregolari. Se una partita Iva ha un committente principale che gli dà il 75% del reddito, gli fa un contratto più lungo di sei mesi e gli fa usare le sue strutture, si presume che abbia un rapporto di lavoro irregolare, che si tratti di un’assunzione camuffata.
Magari lo è…
E magari no. Facciamo il caso di un consulente informatico, quindi non iscritto ad alcun ordine, che ha un buon cliente di cui segue il sito per un certo numero di ore al giorno. Questo consulente ha anche altri clienti, ma se li trova. Se li trova li segue, altrimenti no. Però ha quel buon cliente che gli fornisce la gran parte del lavoro. Ecco, secondo la riforma, se il suo committente principale gli fornisce il 75% del lavoro si mette nei guai, perché si presume che sia un’assunzione camuffata. E quel consulente si trova sbattuto fuori all’improvviso.
Diciamo che questo ha l’aria del caso di scuola…
Lo è, ma è anche un caso che esiste nella realtà. Nella realtà sa chi pagherà gli ammortizzatori sociali? I Co.co.co che da qui al 2018 passeranno dal 27% al 33% di aliquota, senza avere nulla in cambio. Significa che un consulente finanziario, che non ha un ordine ed è iscritto alla gestione separata, non potrà mai essere competitivo con un dottore commercialista o con un ragioniere.
E invece sull’articolo 18 cos’è che non la convince, perché è «pasticciato»?
Le faccio un caso di scuola anche su questo. Prenda due lavoratori uno in un’azienda e uno in un’altra. Il primo commette una mancanza e viene licenziato per motivi disciplinari, si rivolge al giudice e il giudice dice “è vero, c’è stata una mancanza, ma non così grave da giustificare il licenziamento, quindi devi essere reintegrato”. Il secondo viene licenziato per motivi economici, si rivolge al giudice e il giudice dice “tu hai ragione, il tuo posto di lavoro non andava tagliato, però io condanno il tuo datore di lavoro solo a un indennizzo”. Il risultato è che il primo, che ha sbagliato, rientra e il secondo, che aveva ragione, resta fuori anche se con l’indennizzo. E questo senza parlare del fatto che un giudice che decide su un dato economico è un mostro giuridico.
Sta difendendo l’articolo 18?
No, sto dicendo che la modifica è formulata male. Ma noi non possiamo stare tutti lì a guardare l’articolo 18, certamente non deve farlo il Pdl, magari per mettere in difficoltà il Pd. Se lo facciamo ci illudiamo e intanto le imprese si prendono una botta in testa.