Le anarchiche sedotte dal Duce interventista
In data 4 agosto 1908 il prefetto di Firenze così presenta l’anarchica Leda Rafanelli in una sua informativa: «Riscuote in pubblico fama di persona piuttosto libera nella sua condotta morale, anche per i suoi principi di libero amore. Ha intelligenza molto svegliata (sic) e cultura superiore alla media acquistata con la lettura assidua e con l’assimilazione di libri, opuscoli, riviste sociologiche. Ha frequentato appena le scuole elementari». Dunque libertina, colta, autodidatta, così come ci è attestato in questo documento proposto alla nostra attenzione da Massimo Lunardelli in un singolare e suggestivo percorso biografico aperto a un composito ventaglio di donne (Dieci pericolosissime anarchiche, Blu edizioni, pp. 255, € 16). Dieci volti, dieci nomi – Ersilia Cavadagni, Ernestina Crivello, Nella Giacomelli, Clotilde Peani, Virgilia D’Andrea, Leda Rafanelli, Fosca Corsinovi, Elena Melli, Maria Rygier e Maria Bibbi – dieci storie che attraversano l’incendiario Novecento fino al secondo dopoguerra.
Molti materiali da compulsare, molto su cui riflettere. Due, comunque, le militanti su cui fissiamo la nostra attenzione: Leda Rafanelli e Maria Rygier.
«La Rafanelli, fin da giovanotta, ha simpatizzato per le teorie socialiste, diffondendole per mezzo di pubblicazioni, di propaganda e di conferenze. Le sue opinioni politiche si sono venute man mano svolgendo verso il sindacalismo e successivamente verso le teorie anarchiche che ora apertamente professa». Il ritratto si va definendo in senso politico. E sta assumendo i tratti di un profilo esemplare. Perché è come se riassumesse le sequenze tipiche di una esperienza rivoluzionaria – socialista, sindacalista, anarchica – che, a sei anni dallo scoppio della Grande Guerra, si svolge convulsamente alla ricerca di un punto fermo.
La passione militante è indiscutibile e viene sottolineata dal prefetto che ricorda tutte le iniziative di protesta e di agitazione che hanno visto la Rafanelli in prima linea. Ma qualche cos’altro va detto su questa figura di donna. Perché, sì, è libera di costumi, ma negli anni di formazione trascorsi ad Alessandria d’Egitto, ha mostrato interesse per i più complessi percorsi della spiritualità islamica. Insomma, mentre frequentava gli anarchici della Baracca Rossa – e tra questi c’erano personaggi come Enrico Pea e Giuseppe Ungaretti – si avvicinava al sufismo e cioè ad una delle correnti più “aristocratiche” della mistica islamica.
Bene, quando scaviamo nei primi anni del Novecento, teniamo sempre presente che la radicalità intellettuale e politica non può essere ridotta in formule, coniuga atteggiamenti in apparenza contraddittori, è aperta a fermenti di ribellione e di rinnovamento che tendono ad investire e a coinvolgere “insieme” l’individuo e la società. La nostra “maledetta toscana” (è nata a Pistoia da genitori livornesi, ma è “orgogliosa di avere sangue arabo nelle vene per via di un nonno materno che era figlio naturale di uno zingaro tunisino”) si sposa con un libraio fiorentino, Luigi Polli, ben presto convertito alle idee libertarie, e insieme a lui avvia, al rientro in Italia, una piccola attività editoriale che in breve tempo «diventa un punto di riferimento per libri e opuscoli anticlericali, antimilitaristi e femministi».
Cultura e rivoluzione (o cultura è rivoluzione?), dunque, come bandiera. E in questi anni la agitano più che mai uomini e donne che poi di fronte a un evento “estremo” come la Grande Guerra faranno scelte contrapposte. Cultura e rivoluzione, ma anche amore (si intitola Un sogno d’amore il libro con cui Leda sta diventando famosa) e “letti selvaggi”. All’insegna della libertà libertaria.
Ma ci sono anche anarchiche sui cui costumi non c’è nulla da dire. Ecco come lo Stato, nella persona del prefetto di Milano, in data 22 febbraio 1907, presenta l’Antistato “al femminile”, nella persona di Maria Rygier. Maria?: «Riscuote discreta fama nel pubblico, è di carattere docile, educata, di svegliata intelligenza e di non comune cultura. È occupata come commessa di studio e vi attende abbastanza assiduamente concorrendo con quanto ne ricava alle spese di famiglia (…).Frequenta la compagnia dei socialisti e ben si comporta nei suoi doveri di moglie».
Però, però… nel 1910, il prefetto di Milano mette in rilievo che Maria è «sempre smaniosa di mettersi nella massima evidenza, segnatamente tra i compagni di fede, e di far parlare il più che le riesca possibile di sé». E un “monumento” della milizia libertaria come l’ex-garibaldino ed ex-comunardo Amilcare Cipriani, che incontrandola a Parigi l’aveva definita “pazza e assai leggera”. In ogni caso i destini di Leda e di Maria si intrecciano per qualche tempo a quelli di un protagonista della storia d’Italia come Benito Mussolini.
Quella del socialista (ma un po’ anarchico, un po’ sindacalista rivoluzionario e sulla via di compiere scelte cruciali) Benito e della libertaria Leda è, per dirla con Renzo De Felice (Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, 1965, p. 136, nota), «una strana relazione sentimentale-intellettuale» che durò dal marzo del 1913 al novembre successivo. Leda la racconterà in Una donna e Mussolini (Rizzoli, 1946), una sorta di memoriale in cui vengono pubblicate varie lettere del Duce.
Importanti quelle dell’autunno del 1914, quando il Duce – direttore dell’Avanti! e attestato su posizioni neutraliste – riceve pressioni da più parti perché “scelga” la guerra. Le sollecitazioni non possono non colpirlo, anche perché molte vengono dal suo “mondo” (si legga nel libro del Lunardelli la ricostruzione della polemica tra Mussolini e Libero Tancredi – al secolo Massimo Rocca, ex-anarchico approdato all’interventismo).
Ebbene, in una lettera alla Rafanelli (siamo a metà settembre: due mesi dopo Mussolini sceglierà la trincea interventista, sarà espulso dal partito socialista e fonderà Il Popolo d’Italia) si legge: «Sono triste e scoraggiato. Gli ubriachi aumentano. Ne incontro di quelli che non bevevano, Eppure…Ancora qualche giorno e diffiderò di voi, di me stesso… È terribile. Ciardi, Corridoni, la Rygier apologisti della guerra…».
L’anarchica Rygier che, come “apologista della guerra”, suscita stupore nel Duce, sarà, di lì a poco, redattrice del Popolo d’Italia. Ma poi convinta antifascista, fuoriuscita, legata agli ambienti della massoneria francese nonché autrice di un discutibile e discusso saggio su Mussolini informatore della polizia francese o le ragioni occulte della sua ‘conversione’ (lo si veda riportato in De Ambris/ Campolonghi/ Girardon/ Rygier, Benito Mussolini. Quattro testimonianze, a cura di Renzo De Felice, La Nuova Italia, 1976).
Nel secondo dopoguerra, rientrata in Italia, appoggerà la battaglia monarchica (!). La Rafanelli, invece, pacifista convinta, si opporrà al Manifesto dei Sedici, firmato anche da uno dei vessilliferi dell’anarchia, il principe Kropotkin, e favorevole all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa. Dopo la fine della sua relazione con Mussolini, Leda «attraverserà il fascismo conducendo una vita riservata». Raccontando poi nel ’46 la sua bella storia d’amore e di anarchia.