Le pornostar tornano in politica. Cicciolina: «Con me si congratulò anche la Iotti»
«Sempre meglio una spogliarellista che un ladro». Non tutti ebbero l’ironica reazione di Leonardo Sciascia quel 2 luglio dell’anno 1987, quando Ilona Staller, in arte Cicciolina, faceva il suo ingresso in Parlamento con i Radicali e mezza Italia si scandalizzò. Fu la prima pornostar del mondo a diventare onorevole, continuando a svolgere il suo lavoro. E l’Italia scoprì la politica-spettacolo. Anche se a onor del vero, già prima della sua candidatura, tra uno spettacolo e l’altro, la Staller non aveva mai lesinato campagne benefiche e battaglie sociali accanto ai più deboli. A Cicciolina la voglia di far politica non sarebbe mai passata. Non andò bene nel ’92 l’esperienza del Partito dell’amore, in tandem con Moana Pozzi. Nell’aprile 2002 a Budapest non riuscì a raccogliere le 750 firme necessarie per presentarsi alle elezioni ungheresi. E nel maggio dello stesso anno raccolse solo 1.009 voti la lista che la candidava sindaco di Monza. Nel 2006 sfumò il proposito di sfidare Letizia Moratti. Oggi vuole riprovarci a Monza, alle amministrative di maggio, con il partito Dna: Democrazia, natura, amore. La cogliamo durante i preparativi del programma elettorale, coadiuvata dal cofondatore, l’avvocato Luca De Carlo, capolista del partito.
Signora Staller, che effetto le fa vedere tre sue “colleghe” pornostar emularla e buttarsi nell’agone politico?
Un effetto da soap-opera politica. Una goliardica fiction politica. Mi sembra il business di una casa cinematografica che purtroppo è calato nel mondo reale e della politica. La realtà non può essere confusa con la fantasia. Con i gravi problemi che il Paese ha, non si può scherzare con le candidature.
Ma come, non ce le vede con la fascia tricolore al braccio la D’Abbraccio, la Fox o la Borgia?
Se diventassero sindaco? Ripeto, la realtà non è fantasia. Ritengo che non abbiano la minima preparazione sui gravi temi economici e sociali che dovrebbero affrontare. Non sono preparate in diritto costituzionale. Non ritengo che porteranno molto alla politica, anche in termini di ricchezza culturale.
Allora perché secondo lei si buttano nell’avventura elettorale?
Per farsi pubblicità. All’epoca in cui mi sono candidata io, di pornostar ce n’erano poche, io sono stata una pioniera e sono diventata un mito nel mio campo. Mi esibivo per lavoro ed ero strapagata. Oggi con l’inflazione che c’è nel settore, tra internet e ragazze strepitose provenienti da tutto il mondo, i guadagni per una pornodiva non sono certo il massimo, vista la concorrenza che c’è.
Tempo di vacche magre. E quindi?
Quindi per una pornodiva oggi è impossibile diventare famosa solo grazie a questo lavoro. Dunque, questo mestiere lo usano come trampolino di lancio, per avere almeno quella esposizione mediatica che poi consenta loro di affrontare un altro palcoscenico, quello della politica.
A così ben poca cosa è ridotta la politica nell’era dei tecnici?
Ripeto, mi sembra una soap-opera surreale. Ma la politica deve tornare, la politica sociale vera, non questa che sta “stuprando” gli italiani. Quanto alle tre candidate, ritengo che esistano altri modi per mettersi in mostra. Quest’idea mi sembra nasca da un meccanismo malato: diventare dei personaggi ma senza essere in grado di contribuire ai gravi disagi degli italiani. Che non hanno voglia di ridere o di provocazioni, credo.
Scusi, ma anche per lei poteva valere lo stesso discorso, no?
No. Io mi occupavo di politica sociale e di diritti umani molto prima della mia candidatura nell’87. Devolvevo parte degli miei incassi delle mie serate alle strutture sanitarie che curavano l’Aids, fino a una cifra che oggi equivarrebbe a un milione di euro. Sono andata in Giappone, ad Hiroshima, a portare vestiti e generi di conforto nei campi profughi in Cambogia. Facevo piccoli comizi tra la gente, promuovevo collette. Mi è sempre piaciuto stare tra i più deboli. Andai in Argentina a portare dei fondi a un ospedale di oncologia pediatrica, esperienza drammatica e indimenticabile. La gente già mi conosceva.
E di Montecitorio che le è rimasto?
La folla che mi impediva di entrare: dovettero alzarmi di peso. Ho avuto buoni rapporti sia a destra che a sinistra. Ho presentato 12 proposte di legge. Ho l’orgoglio di essere stata una pioniera della lotta contro la violenza alle donne: feci un intervento che mi dette molta soddisfazione. Al termine, era rimasto aperto il microfono della Iotti, l’allora presidente della Camera, che disse, credendo di non essere ascoltata: “Brava, discorso meritevole”. Fu il massimo!