Auguri a Omar Sharif, il mitico Dottor Zivago
Un mito non invecchia mai e, pur ricordando un Omar Sharif canuto alla sessantesima Mostra del Cinema di Venezia nel ruolo del saggio negoziante arabo Ibrahim intento ad educare alla vita un sedicenne ebreo (Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano del francese François Dupeyron del 2003), i suoi prossimi 80 anni (il 10 aprile) non scalfiscono lo sguardo denso e penetrante dal sapor mediorientale che è di quelli che lasciano un segno incancellabile nell’immaginario collettivo. Così come Il dottor Zivago è un personaggio che gli rimane cucito addosso ed occupa un posto speciale nell’affabulazione cinematografica di tutti i tempi. Parli di Omar Sharif e pensi all’indimenticabile Yuri, il medico protagonista del film del 1965 di David Lean. Un film coraggioso, visti i tempi che correvano, un affresco di storia che va dalla prima rivoluzione russa del 1905, con la caduta degli zar, alla seconda, quella bolscevica del ’17, quindi la guerra civile e l’escalation di violenza che questa rivoluzione portò con sé.
Film-cult dell’anticomunismo
Un film che fece capire, prima di molti storici che l’hanno spiegata dopo la caduta del Muro, che tipo di involuzione ebbe quella rivoluzione a causa della sua intrinseca violenza. Le vicende di Yuri, della moglie (Geraldine Chaplin) e dell’indimenticabile Lara (Julia Christie) stanno lì a dimostrarlo. Un film coraggioso, basato sull’ancor più coraggioso romanzo di Boris Pasternak.
Il libro è stato uno dei casi letterari più emblematici di cosa fosse la cappa di conformismo del regime comunista. Pasternak lo scrisse nel ‘57, ma il romanzo non circolò neppure in bozze nell’Urss. Anche in Italia il clima era circospetto e non certo favorevole alla pubblicazione, che infatti fu rifiutata anche da Giulio Einaudi. Da noi però il romanzo vide la luce (prima solo in italiano e, in seguito, in russo) per i tipi di Feltrinelli il 23 novembre del 1957. Un editore che, nonostante fosse di sinistra, nonostante avesse avuto pressioni dal Partito Comunista Italiano dell’epoca, nonostante addirittura fossero venuti da Mosca a chiedergli la non pubblicazione, volle editarlo a tutti i costi, sapendo bene che questo non sarebbe stato possibile in Russia.
Il caso Pasternak
Appena pubblicato divenne il caso letterario del 1957/’58, a dimostrazione che era un romanzo che aveva il “dovere morale” e letterario di uscire. E doveva uscire proprio in quegli anni in cui ancora si taceva sul senso della rivoluzione russa, si stendeva un velo su quella che era stata la violenza della guerra civile, si glissava sullo stalinismo di cui si parla nella parte finale del romanzo. L’odissea di Pasternak e del suo libro proseguì nel 1958, quando l’Accademia di Svezia gli conferì il Premio Nobel.
Il Nobel rifiutato
Non era la prima volta che Pasternak veniva candidato al Nobel, ma certo è che il peso specifico politico de Il dottor Zivago determinò un diverso peso negli orientamenti degli accademici. Pasternak fu “costretto” a rifiutare il premio. Dapprima inviò un telegramma a Stoccolma esprimendo la sua gratitudine attraverso parole di sorpresa e incredulità. Alcuni giorni più tardi, in seguito a pressanti minacce e avvertimenti da parte del Kgb circa la sua definitiva espulsione dalla Russia e la confisca delle sue già limitate proprietà, lo scrittore comunicò all’organizzazione del prestigioso premio la sua rinuncia per motivi di ostilità del suo Paese. Pasternak rifiutò così la fama e il riconoscimento che avrebbe trovato all’estero per non vedersi negata la possibilità di rientrare in patria. Da allora trascorrerà il resto dei suoi giorni comunque perseguitato, in povertà e in isolamento. Morirà due anni più tardi in povertà a Peredelkino, nei dintorni moscoviti, nel 1960.
Il “caso Dottor Zivago" dimostra quanto questo romanzo toccasse fino in fondo alcuni nervi scoperti che il regime sovietico tentava di occultare. La prima edizione ufficiale in russo è del romanzo è del 1988, ventotto anni dopo la morte di Pasternak, in epoca gorbacioviana. L’immaginario cinematografico amplificò il valore politico artistico del romanzo, anche grazie alla prova d’attore di Sharif, interprete senza dubbio fascinoso, di quelli che non ti stacchi di dosso, quando ripensi a quel film, tanti ma tanti decenni dopo. Riuscendo a fondere la maestosità della ricostruzione scenica con il gusto per il racconto epico e sentimentale, Lean regalò uno spettacolo decisamente coinvolgente, efficace soprattutto nelle scene di massa e nelle panoramiche mozzafiato, con il corollario di una splendida colonna sonora, Il tema di Lara. Presentato al Festival di Cannes nel 1966, Il dottor Zivago è stato un trionfo mondiale ottenendo cinque premi Oscar e cinque Golden Globe.
La critica militante storse il naso
Da noi la critica militante non lo amò e si arrivò a confutare l’intento politico del film, preferendo puntare sulla valenza sentimentale che lega tutte le fasi della pellicola. «Il film fu un successo anticomunista», ricorda oggi il critico cinematografico Maurizio Cabona «e certamente non fu la critica militante e sessantottarda a poter ipotecare il successo del film, che fu accolto con entusiasmo popolare. Le cronache ricordano – prosegue – che a Luchino Visconti, comunista, sconsigliarono di andare a vedere il film ma che lui non se ne curò, naturalmente».
Anche un cineasta di sinistra come Nanni Moretti dedicò una citazione al film. «In Palombella rossa il protagonista Michele Apicella, comunista doc, a un certo punto entra in un bar e si incanta davanti alla televisione dove danno, appunto, Il dottor Zivago….», ricorda Cabona.
Uomo di notevole cultura (parla correntemente, per lo meno, sei lingue), ed esperto di bridge, Sharif ha il volto che sembra ormai scolpito nel tempo, fissato in quell’eterno e ironico sorriso che lo ha reso celebre. Da tempo ha superato i 100 titoli in una carriera sotto il segno dell’irregolarità, tra passioni, debiti, curiosità e voglia di una vita che ha sempre sbranato con lucida voracità. Versatile, veste i panni di un ufficiale tedesco per La notte dei generali di Anatole Litvak (canta con Barbra Streisand in Funny Girl e si innamora istantaneamente della diva americana). Poi si inventa arciduca asburgico per La tragedia di Mayerling, nel frattempo pubblica il suo primo manuale di bridge ed entra nella lista dei “top players" del gioco.
Il ritorno con “Monsieur Ibrahim"
Dopo un periodo di buio professionale, dovrà aspettare l’incontro con il francese Franois Dupeyron per ritrovarsi. Il film è Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano che emoziona il pubblico e la giuria alla Mostra di Venezia nel 2003, dove Omar Sharif riceve il Leone d’Oro alla carriera e ritrova anche le sue origini mediorientali con l’interpretazione dell’anziano commerciante sufi che scopre la sua vocazione paterna nell’incontro con il giovane ebreo Momo Schmidt. Riconquistati pubblico e critica, adesso sembra un uomo placato nonostante perduri la leggenda delle sue furibonde collere, delle sue spettacolari bevute, della sua proverbiale galanteria.