Galassi: «I soldi vadano a chi lavora, non a banche e finanza»
«Qui il problema non è quello che dicono, che non ci sono più soldi, il problema è che non c’è più fiducia nel futuro. Gli imprenditori che si uccidono per la crisi oggi stanno male, non hanno più clienti, non hanno più credito, ma quando sono partiti stavano peggio, perché magari non avevano nulla. Ma non avevano nemmeno paura. Ora invece hanno paura. Questo è un problema sociale e culturale, prima che economico». Paolo Galassi è il presidente nazionale della Confederazione italiana della piccola e media industria privata. La delegazione romana della Confapi ieri è scesa in piazza insieme alle altre sigle capitoline del mondo dell’imprenditoria, piccola e grande, e del lavoro. Una situazione in cui Cgil e Unindustria si sono trovare fianco a fianco per dire le stesse cose: denunciare le difficoltà delle Pmi e del mondo del lavoro, chiedere interventi immediati per porvi un argine e ricordare chi ha deciso di togliersi la vita a causa della crisi. «Nel mondo della Pmi – ricorda Galassi – non c’è mai stata una divisione netta tra datore di lavoro e dipendente, le difficoltà dell’impresa si sono sempre affrontate insieme. Però è vero che questa manifestazione è lo specchio di quanto sia serio il problema con cui dobbiamo fare i conti oggi».
Presidente, come si restituisce fiducia agli imprenditori?
È al Paese che bisogna restituire fiducia, perché il problema riguarda tutti. Una manifestazione come quella del Pantheon è importante, ma io vorrei vedere in piazza anche il mondo della cultura, il complesso del mondo religioso, tutti, perché se manca un pezzo non andiamo da nessuna parte. Qui siamo di fronte a segnali di pericolo fortissimi. I primi che si suicidano sono gli industriali, ma il giorno dopo sono i dipendenti. Finora hanno tenuto perché bene o male con la cassa integrazione abbiamo tamponato, ma, quando finirà, la piaga dei suicidi da crisi assumerà proporzioni spaventose. È inaccettabile, e lo dico prima di tutto da uomo, dal punto di vista morale.
E da imprenditore, invece, cosa si sente di dire?
Che son vent’anni che non si pensa al sistema economico manifatturiero e che qui non è questione di destra o di sinistra. Il governo tecnico ha gli stessi problemi dei governi politici.
Si aspettava che Monti cambiasse la situazione?
Me lo aspetto ancora. Ho accettato anche l’intervento violento per far capire che l’Italia, anche se molto indebitata, ha altre risorse. Però adesso serve il secondo passo. Non è più solo questione di mercato del lavoro, qui c’è da pensare allo sviluppo. Bisogna pensare che una società, per sviluppare, deve cercare di aumentare il Pil, invece qua tutti ragionano senza pensarci. Possiamo lavorare a costi inferiori, su mercati più ampi, con prodotti seri, possiamo puntare sull’export, ma dobbiamo pensare anche al mercato interno. Sono stufo di sentir dire “andiamo all’estero”. Ci andiamo, ma il mercato estero non basta. Non tutte le aziende vi possono accedere e non crea lo sviluppo necessario all’Italia. Un’azienda non è brava perché va all’estero, è brava se sta qui.
Ora che i consumi si sono ridotti è bravissima…
Appunto. I lavoratori in Italia costano tanto e guadagnano poco, è l’effetto della tassazione elevata. Ma come fa l’Italia a vivere se non favorisce un mercato interno e un aumento del Pil?
Ecco, come fa?
Non fa. Per questo bisogna fare sviluppo, bisogna prendere i soldi e destinarli alle imprese. Invece, le banche creano problemi anche alle aziende che nel 2011 hanno avuto utili. Ma se si leva credito alle imprese crolla tutto.
Dunque, per lei da cosa passa lo sviluppo?
Dal fatto che si prenda parte del denaro incassato e lo si punti sulle imprese manifatturiere. Questo chiama in causa la politica. I soldi devono andare alle imprese che lavorano, non solo agli investimenti finanziari. Io sono un imprenditore di quarta generazione, noi abbiamo anche investimenti, ma non si può pensare la vita con gli investimenti. Un’azienda che lavora, e che lavora ogni volta di più, offre altre prospettive. Io mi aspetto che Monti faccia questo salto. Non deve prendere voti, trovi il coraggio di andare anche contro quei sistemi finanziari da cui viene. I soldi devono andare a chi lavora. Poi è chiaro, deve essere molto chiaro, che chi prende i soldi deve effettivamente investire in lavoro. Servono dei sistemi di controllo stringenti, servono leggi, ma anche noi associazioni siamo pronte a fare la nostra parte.