Castro, un gol per l’identità della destra
Una svolta “storica” è ora a portata di mano per il Pdl. La battaglia sulla partecipazione dei lavoratori all’amministrazione e agli utili dell’impresa, patrimonio della destra politica e sindacale, è quasi vinta, grazie al lavoro del relatore del Pdl al ddl Lavoro, Maurizio Castro, riuscito nell’impresa di coinvolgere il suo collega del Pd, Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e relatore per il Pd, nella presentazione dell’emendamento bipartisan che darà attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Il senatore Castro, l’ “eroe” di questo traguardo, ci scherza su: «Ho fatto un blitz», ride visibilmente soddisfatto dell’andamento della commissione Lavoro nell’operazione di “restyling” della Riforma Fornero.
Maurizio Castro, lei ha messo il sigillo a un traguardo che viene da lontano, da una delle più convincenti declinazioni della destra sociale. Una battaglia solitaria di cui ora viene riconosciuta tutta la modernità. Un momento importante per lei, immagino.
Assolutamente sì, sono molto contento. Oltre ad essere una battaglia identitaria tra le più forti della destra italiana, la partecipazione è un tema che avvicina le famiglie politiche più importanti del Novecento italiano: dal personalismo cattolico al cuore della dottrina sociale della Chiesa, dal socialismo patriottico e riformista al liberalismo più temperato. Fino a comprendere anche un “pezzo” della sinistra, quella “morandiana”, che negli anni Cinquanta credeva nella partecipazione, attraverso l’istituzione dei consigli di gestione.
Vuole dire che con questo emendamento bipartisan, presentato insieme al suo collega Treu, è come se le più importanti famiglie politiche italiane si siano ricongiunte?
Direi di sì, anzi ritengo che si sia realizzata una vera e propria pacificazione intorno all’idea partecipativa, che diventa ora un vero vettore di cambiamento nella cultura sociale del Paese. Si seppellisce finalmente la cultura antagonista che ha diviso l’Italia dagli anni Sessanta ad oggi e si procederà sulla via di una modernizzazione dalle radici solide, comunitarie, “corporative” e cattoliche.
È stato lei l’elemento trainante del tandem in commissione Lavoro?
Sin dall’inizio avevo in mente di inserire la questione della partecipazione. Le cose sono andate così: abbiamo presentato un disegno di legge unificato Castro-Treu che aveva prodotto un testo congiunto delle commissioni Finanza e Lavoro. Questo testo ora è stato “importato” nella riforma, ma con un assunto culturale forte: ossia la riforma si mette al servizio di una vera cultura competitiva. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese viene finalmente considerata come motore competitivo e non come una “zavorra”, con la possibilità di sviluppare le enormi potenzialità dei sistemi integrati e delle risorse umane.
Questione fondamentale: quante possibilità ci sono che l’emendamento venga approvato?
Il cento per cento. È stato tutto già concordato con il governo e con il consenso delle forze politiche. Il modello partecipativo ci suggerisce esperienze molto interessanti dalla Germania ai Paesi nordici. Il bello è che è un sistema basato sulla volontarietà: non sarà obbligatorio, bensì favorito con incentivi alle aziende.
La legge dovrà prevedere l’istituzione di organismi congiunti, paritetici o comunque misti, tra aziende e lavoratori. Secondo quali modalità?
Abbiamo scelto la strada del “menù”: le imprese insieme ai sindacati dei lavoratori potranno scegliere tra la partecipazione alla divisione degli utili, tra la partecipazione al capitale azionario, tra i modelli di governance: i dipendenti potranno, per esempio, entrare a far parte del consiglio di sorveglianza, che all’interno delle aziende ha una funzione strategica e di controllo molto delicata. Si tratta, come si vede, di un modello dalle grandi potenzialità, una realtà che apre prospettive di grande competitività basate su qualità ed efficienza. Penso soprattutto alle società a partecipazione pubblica che salto qualitativo potrebbero fare…
È la dimostrazione che la “ricetta” indicata dalla destra era vincente. C’è la consapevolezza di questo, secondo lei?
Sì. In questi anni il dibattito sulla partecipazione è stato prima solitario, poi sempre più “partecipato”, è il caso di dire. Una questione sulla quale si è concentrata una consapevolezza diffusa, avvalorata dalla dottrina sociale della Chiesa, che è stata ribadita anche dalle due ultime encicliche. Del resto, ora più che mai con la crisi sistemica della globalizzazione ci si è accorti della straordinaria attualità di un messaggio che intenda l’impresa come comunità. Insomma, ora siamo andati ben oltre il dibattito culturale e ideologico e siamo sul terreno di un dibattito fondato sulla competitività e sul futuro.