L’omaggio a Pino Grillo nel libro di una generazione
Dopo il primo appuntamento tenutosi a Vibo Valentia, e in attesa di quello programmato a Napoli, il 10 maggio scorso la casa editrice Settecolori ha presentato a Roma, ai Musei Capitolini, il volumetto collettaneo intitolato Era mio padre, dedicato al fondatore della Settecolori, Pino Grillo, scomparso il 24 agosto 2000 a soli 49 anni. In tanti hanno voluto omaggiare la memoria di Pino Grillo, ma anche il coraggio del figlio Manuel, che ha voluto proseguire, con notevole finezza culturale peraltro, la difficile opera editoriale del padre: Francesco Bergomi, Pietrangelo Buttafuoco, Maurizio Cabona, Carlo Fabrizio Carli, Alain De Benoist, Giuseppe Del Ninno, Fabrizio Falvo, Gennaro Malgieri, Luciano Pignatelli, Gerardo Sano, Stenio Solinas, Tomaso Staiti di Cuddia, Marco Tarchi, Marcello Veneziani. Queste le firme che compaiono scorrendo le pagine. Un tributo all’amicizia, valore che Pino Grillo coltivò con assiduità tipicamente calabrese, e all’entusiasmo di una stagione di grande fervore politico, culturale ed esistenziale: quella della Nuova Destra e dei campi Hobbit.
L’istantanea di una generazione, questo libriccino. Un’avventura incredibile ed assurda, tradotta in realtà dai viaggi che Pino intraprendeva con una Fiat 131 a nafta dalla sua irraggiungibile Calabria, per incontrare persone, distribuire libri e riviste, organizzare convegni. Per surrogare con la volontà e la testardaggine alla mancanza di un “sistema” meta politico che rendesse plausibile un’elaborazione culturale alternativa a quella marxista o radical-chic, che tenesse insieme gli attori di un pensiero comunitario spesso più narrato che praticato, a causa dei non pochi personalismi e distinguo dottrinari.
Il tutto condito di miseria e nobiltà, miseria di mezzi e nobiltà d’intenti, per dirla con Veneziani. Ma pur nella penuria di mezzi, grazie a Settecolori, fiorirono preziosi germogli di pensiero: dalla prima pubblicazione Il tempio del cristianesimo di Attilio Mordini, ai drammi di Drieu La Rochelle o all’Eclisse del sacro di Thomas Molnar e Alain De Benoist, con alcuni momenti cruciali come la seconda edizione di Elementi (la rivista della Nuova Destra italiana) e il C’eravamo tanto a(r)mati, caso editoriale del 1984, dove sinistri e destri raccontavano se stessi e la propria passione politica, provando a dialogare e riconoscendosi nell’altro da sé, recentemente ristampato da Manuel.
L’eroismo editoriale di Pino, e di altri come lui, ha permesso all’Italia di non perdere un punto di vista culturale differente, di tramandare alcune suggestioni intellettuali fin nel terzo millennio. Un esempio che avrebbe potuto essere seguito allorché in questi ultimi anni non sono mancate le occasioni e gli strumenti per procedere a quell’infrastrutturazione metapolitica sulla quale la destra non ha voluto investire, sottovalutando l’importanza che i laboratori di idee hanno nella costruzione di una classe dirigente e nell’effettivo governo delle istituzioni e della società.
Ma non è stata solo colpa dei politici, forse mancavano veri organizzatori culturali. Forse Pino se n’è andato troppo presto e non ha potuto dare ulteriori risposte a quanti volevano dedicarsi al lavoro intellettuale. Quella definitiva, “sto male”, la diede durante il suo ultimo viaggio in giro per l’Italia: un viaggio di commiato che tutti i suoi amici ricordano commossi.