Risé: «Ma il mito di mammà è un classico vizio italico»
Non è solo colpa solo della crisi economica se il 31% degli italiani coabita con mamma e papà, e se il 42,4% di loro abita, comunque, al massimo a trenta minuti dalla loro abitazione. Ma è il frutto di una specificità sociale e culturale tipicamente italica. Claudio Risé, sociologo e scrittore, attento osservatore delle dinamiche familiari, ci dà un’interpretazione fuori dal coro dei numeri usciti dal rapporto Censis.
Professore, i “bamboccioni” non sono più soltanto i giovani tra i 18 e i 29 anni, ma anche persone più grandi, in età compresa tra i 30 e i 45 anni. Lei dice che la crisi c’entra poco, ma allora come se lo spiega?
È drammatico l’alzarsi della soglia d’età di coloro che vivono nella casa natale. Mi risulta con grande evidenza dall’esperienza clinica. C’è proprio una riluttanza a staccarsi dai luoghi di attaccamento, non solo dalla mamma, ma anche dal gruppo, dal quartiere, dal Paese in cui vivono. In uno scenario globale come quello che stiamo vivendo, questa tendenza diffusa rivela paura di movimento fisico e affettivo. Il timore di affrontare il mondo. È simbolo di una fedeltà mortifera.
Mortifera?…
Sì, perché la vita è movimento ed è in movimento. Quel che va in senso contrario non è certo simbolo di vitalismo…
Allora da dove nasce questo “congelamento” della carriera da adulto?
Non concordo con l’ interpretazione economicista del fenomeno “bamboccioni”. Io penso, invece, che la crisi sia il risultato di una specificità tutta italiana. Se ci guardiamo indietro, vediamo che la crisi della produttività e dell’imprenditoria non inizia dal 2008, ma è un processo che è iniziato molto prima.
Quindi “bamboccione” fa rima con “mammone”?
Altroché! Anche se, però, è un atteggiamento molto indotto dalle famiglie, che invece di buttarti fuori, ti tiene a casa in nome di una malintesa forma di tutela. Ma non è un gesto d’amore. Anzi. È un fenomeno tipicamente italiano. Se si vanno ad osservare le abitudini al di là delle Alpi, è tutta un’altra storia, il 50% dei quindicenni già inizia a fare lavoretti d’estate o nel tempo libero. Insomma esce dal “guscio”.
Insisto. Quando non ci sono molti soldi nelle tasche è difficile “uscire dal guscio”, no?
Il contrario, direi. Storicamente la difficoltà economica delle famiglie è sempre stata affrontata proprio uscendo di casa e magari attraversando gli oceani. La storia dell’emigrazione italiana dimostra proprio questo. Dunque, ritengo l’attuale fotografia della dimensione familiare il frutto di vizi antichi che si sono creati nell’abbondanza e che in qualche modo persistono.