40 anni fa morì Ezra Pound: non ebbe il Nobel perché ex fascista
Quando il 1° novembre di quarant’anni fa muore a Venezia Ezra Pound non è un giorno come tanti, perché il forte richiamo ai principi universali e il rifiuto delle logiche economiche usuraie, che egli afferma nel corso di tutta la sua vita, sono già scolpiti nella roccia della letteratura mondiale. Nel 1972, nonostante i tentativi di imbavagliarlo e farlo dimenticare, il poeta americano è già riconosciuto come uno dei più grandi del Novecento e le sue teorie economiche cominciano ad essere viste dalle menti più libere, non più come un mero richiamo alla sola esperienza fascista, di cui fu sostenitore, ma come una sferzante critica decisamente attuale verso un mondo sempre più proteso all’asservimento dell’uomo e del suo ingegno alla dittatura bancaria.
Ricordare oggi Ezra Pound vuol dire cantare i versi di una vita vissuta in modo totale, in cui il poeta non è ridotto a romantico cantore di ciò che non è più, ma si pone quale avanguardia di un futuro ideale, che affonda le proprie radici nella solida terra della tradizione e dei valori dell’uomo. Il suo ruolo non è, infatti, di astrarsi dalla realtà, ma semmai di immergersi nelle contraddizioni del mondo moderno, utilizzando i suoi strumenti per demolirne le fondamenta malate, a partire dalle concezioni del denaro, del credito e del lavoro. Da qui il forte interesse di Pound verso l’economia, poiché da essa può ricominciare un discorso molto più ampio sul ruolo degli Stati nazionali e sui meccanismi vitali dell’essere umano. La sua concezione di una moneta liberata dal giogo delle banche e restituita alla naturale funzione di strumento di scambio che nasce da una convenzione sociale è la possibilità per restituire allo Stato la sovranità monetaria perduta, togliendo al sistema bancario l’humus che lo nutre e che lo ha trasformato in ingranaggio primario per la dittatura della finanza.
La critica di Ezra Pound è attualissima e forse è proprio per la sua estrema attualità che da alcuni anni ha cominciato a far presa sulle coscienze più libere e meno sensibili ai richiami dell’ideologia bancaria. Leggendo Pound ci si trova davanti a un vero e proprio manifesto spirituale di alternativa economica, sociale, poetica, ma soprattutto esistenziale, scritto da chi, leggendo la realtà, ha saputo comprendere quale sarebbe stata la successiva evoluzione del sistema, al cui vertice c’è la banca che, emettendo moneta mediante un prestito, non fa altro che trasformare i cittadini da proprietari in debitori e dunque in schiavi. L’economia, per il poeta statunitense, non ha senso se non sia fondata sul lavoro ed è per questa ragione che la distribuzione del lavoro è presupposto necessario affinché possa esservi una reale redistribuzione della ricchezza. “Contro l’usura”, il XLV Canto dei suoi “Cantos”, resta oggi come una pietra miliare di questa visione disincantata e si conclude con la considerazione della condizione in cui è oramai ridotto il mondo contemporaneo: «… Usura soffoca il figlio nel ventre, arresta il giovane drudo, cede il letto a vecchi decrepiti, si frappone tra i giovani sposi contro natura. Ad Eleusi han portato puttane. Carogne crapulano ospiti d’usura».
Proprio i “Cantos”, poema epico scritto durante tutta una vita a partire dal 1917, sono considerati la pietra miliare del pensiero di Pound e i “Canti Pisani”, pubblicati nel 1948 e scritti durante la prigionia nel campo di concentramento americano di Metato nei pressi di Pisa, rappresentano per la critica uno degli esempi più alti della poesia moderna. Una voce libera e impossibile da zittire, nonostante il tentativo, vergognoso, degli americani, vincitori della seconda guerra mondiale, di imbavagliare il poeta e seppellirlo nel fondo del manicomio criminale di St. Elizabeths, a Washington, in cui viene rinchiuso per dodici anni con l’accusa di collaborazionismo e alto tradimento, per la sola colpa di avere aderito al fascismo e per quella, ugualmente grave, di avere svelato nella propria poesia i meccanismi «contro natura» di gestione del lavoro e della moneta da parte del sistema capitalista. Una critica che sarebbe stata tollerata dai vertici del potere se fosse provenuta da chiunque, ma certamente non da un cittadino americano! E così, negli ultrademocratici Stati Uniti l’intolleranza e la violenza prevalgono sul libero pensiero, costringendo un anziano poeta nella cella di un ospedale psichiatrico, per scongiurare il rischio che altri possano aderire alle sue idee.
Eppure, proprio i “Pisan Cantos” vincono nel 1948 il celebre Premio Bollingen conferito dalla Biblioteca del Congresso statunitense – in giuria c’è Thomas Eliot – non senza suscitare polemiche e imbarazzi da parte del governo Usa, proprio a causa dello stato di prigionia in cui è tenuto il poeta.
Ricordando Ezra Pound, non si può non sottolineare un altro, odioso, episodio di cui egli è vittima nel 1959, quando viene candidato al Premio Nobel per la letteratura, un anno dopo aver riottenuto la libertà grazie alla mobilitazione di intellettuali e scrittori del calibro di Ernst Hemingway e dello stesso Eliot: in quell’occasione la giuria gli nega il riconoscimento, proprio a causa delle sue idee politiche, ritenute in contrasto con lo spirito del Nobel. Un altro schiaffo per la libertà di pensiero. Un altro tentativo di ridurre al silenzio la sua poesia.
Il suo intento di una letteratura rispondente a un progetto di trasformazione e umanizzazione della società si riscontra già agli inizi del secolo, nel 1908, dopo essersi trasferito a Londra dagli Stati Uniti. Gli incontri più importanti della sua vita avvengono proprio nel periodo londinese. Qui frequenta l’editore social-corporativista Alfred Orage, anima della rivista “New age”, ma anche Eliot, che gli dedica il poema “The Waste Land”, e il poeta irlandese William Butler Yeats, con cui nasce un forte sodalizio culturale e spirituale. Al periodo londinese si ascrive anche il rafforzamento del suo interesse verso la poesia medievale (è del 1912 la traduzione dei “Sonnets and ballate of Guido Cavalcanti”), ma anche per l’arte poetica cinese e per i “no”giapponesi. Sempre a Londra nasce il suo rapporto con James Joyce, che Pound presenta all’editrice Sylvia Beach, la stessa che nel 1922 gli pubblica l’“Ulisse”. Nel 1935, dopo essersi trasferito in Italia dieci anni prima, nel suo libro “Jefferson and Mussolini” esprime in modo chiaro la propria visione in merito alla politica del tempo: «Il primo atto del fascismo – scrive – è stato salvare l’Italia da gente troppo stupida per saper governare, voglio dire dai comunisti senza Lenin. Il secondo è stato di liberarla dai parlamentari e da gruppi politicamente senza morale. Quanto all’etica finanziaria, direi che dall’essere un Paese dove tutto era in vendita Mussolini in dieci anni ha trasformato l’Italia in un Paese dove sarebbe pericoloso tentare di comprare il governo». Dal ’40 al ’45 tiene un programma alla radio, intitolato “Ezra Pound speaking”, da cui muove la propria critica verso la finanza internazionale, teorizzando un mondo affrancato dall’usura. Un mondo, ancora di là da venire.