«Ora altri passi indietro»
«Il fatto che sia indicato come un possibile candidato alle primarie del Pdl? Mi fa sorridere, perché le mie idee non hanno mai avuto una reale cittadinanza, non nelle cose concrete». Sull’ipotesi, in questi giorni, si stanno esercitando diversi sondaggisti. Ma Oscar Giannino, ad oggi, semplicemente non ne vede le condizioni. «Non credo proprio che Alfano possa venire da me e chiedermi se mi voglio candidare».
Dovrebbe chiederglielo Alfano?
Altrimenti bisognerebbe presupporre che si tratti di primarie aperte.
Alfano dice che lo sono. Un contributo di idee esterno non sarebbe un fatto positivo?
Mi preoccupa un po’, per il segnale che dà, il fatto che ci sia gente, per il poco che può valere, che dice che forse bisognerebbe pescare fuori. Comunque, certo che sì, contributi esterni potrebbero essere un fatto positivo, ma servirebbe un’ipotesi risolutiva verso il ruolo di Berlusconi, che ha fatto un passo indietro, ma resta come fondatore, finanziatore… Non è il passo di chi dice “va bene, io lascio questo partito in enormi difficoltà, è ora che questo partito inizi a camminare con le proprie gambe”. Magari passando anche per una probabile sconfitta. Questo succede nei grandi partiti europei. Io questo meccanismo nelle primarie non ce lo vedo.
E quali altri meccanismi vorrebbe vedere nelle primarie del Pdl?
Ho tre idee, che mi permetto di esporre in punta di piedi, per il rispetto che ho di fronte alle cose interne di un partito, soprattutto quando è in condizione di crisi. La prima è che se fossi un dirigente del Pdl starei attento a un meccanismo in cui i candidati che vengono prescelti e sottoposti al voto servano a pesare le anime interne, per fare le liste. Se fossi un militante del partito inizierei a pensare che ci si conta per pesarsi e poi spaccarsi. E questa è la prima cosa che mi è venuta in mente guardando alcune ipotesi di candidature.
La seconda?
Che se ci fosse un minimo di riflessione interna riservata tra loro dovrebbero puntare ad avere almeno un paio di ipotesi significativamente rilevanti, per ipotizzare una eventuale leadership. Se chiami tutti i militanti a fare questo, è bene approfittarne per guardare a questo aspetto del futuro del partito.
Ultima idea?
Dovrebbero essere capaci di evitare l’ecceso di colore.
È uno dei rischi sottolineati dagli osservatori in questi giorni. Ma come si fa?
Dovrebbe essere una capacità che identifica qualunque partito in vita – voglio dire, parlando con rispetto – di ragionare al proprio interno prima che il colore di alcuni candidati prevalga.
Cosa farà “Fermare il declino” dopo la rottura con Montezemolo?
Continueremo per la nostra strada. C’è delusione, abbiamo lavorato a un percorso, ci abbiamo messo la faccia e alla fine, quando Italia Futura ha stretto per una sua ipotesi con Cisl, Acli e Riccardi ci siamo trovati in poche ore di fronte a una prospettiva chiusa. Forse siamo stati considerati non abbastanza allineati, ne prendo atto. Sarà più complicato aggregare situazioni di questo genere, ma andiamo avanti. Siamo un piccolissimo gruppo senza risorse, ma abbiamo riempito i teatri e le piazze. Gli altri è tutto da vedere. Non per lodarmi, e riempire delle piazze è poco rispetto a milioni di voti, ma è un segno, soprattutto se c’è un partito come il Pd che ha decine di segretarie e sotto la Regione Lombardia, contro Formigoni, non porta neanche 500 persone.
E con questo patrimonio di idee ed energie cosa ci volete fare?
Dare una mano, se esiste un governo capace di reggere l’Italia sui mercati. Però, cambiando l’impostazione della politica economica del governo Monti.
Volete fare il think tank economico a disposizione del governo che verrà?
Vogliamo vedere se c’è gente che crede davvero all’impostazione e alle proposte che portiamo avanti. Non è un think tank, noi pensiamo di avere gente capace di fare quello che proponiamo. È una roba che verifica in poco tempo un piano industriale terribile, per dirla in termini economici.
Quindi, vi volete candidare alle elezioni?
A oggi mi pare che si voti di nuovo con il porcellumm. Sarebbe irrealistico.
E con uno dei partiti o degli schieramenti che possono correre anche con il porcellum vi candidereste? Lei ha detto che nel Pdl le sue idee non hanno trovato davvero asilo, e se lo trovassero?
Al di là dei programmi, c’è un piccolo punto abbastanza divisivo: nel 2008 votarono 38 milioni di italiani, ora ai sondaggi rispondono 24 milioni, cosa si fa per convincere quei 14 milioni che non rispondono sulle intenzioni di voto?
Cosa si dovrebbe fare, secondo lei?
Bisognerebbe che i partiti si convincessero di una cosa di cui nessuno si convince: bisognerebbe mandare a casa le prime e le seconde file quasi in massa. E non lo dico per nuovismo, ma perché altrimenti quelli di quei 14 milioni che alla fine andranno a votare voteranno per Grillo. Ma questo punto qua ai partiti non riesci a spiegarlo. Loro dicono “e io mica posso andare a casa”. Questo è il primo punto di fondo.
Crede davvero che l’azzeramento delle classi dirigenti sia la risposta alla crisi della politica?
È quello che è avvenuto nell’esperienza delle grandi sconfitte storiche del partito conservatore. Dopo la Thatcher, il rinnovamento della classe parlamentare è stato fortissimo. È tradizione che si faccia così, ma in Italia quando ci sono legnate storiche questo non si vede. Forse serve un bagno di sangue elettorale.