Anselma Dell’Olio: «Le sviolinate della sinistra? Invidia»
«In teoria» avrebbe potuto votare anche per un repubblicano e, anzi, alle scorse elezioni a Obama preferiva McCain. Alla fine scelse Obama in nome della democrazia dell’alternanza: «Sentivo che dopo otto anni c’era bisogno di un cambiamento, è nel dna del nostro Paese, il sale della nostra democrazia. Era bene che il partito repubblicano se ne stesse un po’ nei think tank per rinfrescarsi». Anche stavolta Anselma Dell’Olio, giornalista e opinionista italo-americana, ha scelto Obama, perché «pensavo che per i repubblicani fosse ancora troppo presto» e perché «volevo che il primo presidente afroamericano svolgesse i due mandati».
Avrà votato Obama anche perché l’ha convinta più di Romney…
Sono due bravi politici. Obama non ha fatto un pessimo lavoro, ma non è nemmeno un grandissimo presidente, ha fatto un lavoro decente. Non credo che ora possa fare molto di più, ma me lo auguro. Glielo auguro.
Allora Romney è bravo, ma non le piace.
No, non ho in odio Romney, è anche più rodato, ma non è così straordinario da farmi pensare che avrebbe fatto la differenza. In realtà, non pensavo fosse così importante la vittoria dell’uno o dell’altro. Non è stata una scelta ideologica, è stata una scelta di pura correttezza politica, per il secondo mandato di Obama. Devo dire che sono sempre stata convinta della sua vittoria e ora sono soddisfatta che le mie previsioni siano state giuste.
Anche la sinistra italiana è soddisfatta della vittoria di Obama, ma per altre ragioni. Che effetto le fanno i commenti entusiasti?
(Ride) Diciamo che se non fossi stata così convinta della mia scelta, mi sarebbe venuta voglia di ritirare il mio voto. Questo sbrodolamento non lo sopporto. Non penso che Obama sia una speranza per il cambiamento, non penso che cammini sulle acque. Obama è uno straordinario candidato, è cool, ma non un grandissimo presidente. Quando sento queste cose mi rendo conto che non parlano quasi mai di programmi, mi viene il latte alle ginocchia.
Pensa che questo atteggiamento sia frutto di un certo provincialismo?
Penso che sia il frutto di una disperazione ideologica. Non che la destra stia bene, ma almeno è stata al potere per un po’. La sinistra dovrebbe vincere le prossime elezioni, ma dopo le dimissioni di Berlusconi Napolitano non le ha fatte fare perché sapeva che è un disastro, che non hanno un programma, non hanno un’idea, sono divisi. La sinistra italiana più che provinciale è invidiosa. Sposano questa vittoria perché sperano che possa contagiarli per osmosi, ma non succederà.
E cosa pensa del fatto, sottolineato da diverse parti, che la vittoria di Obama sia un bene per l’Italia perché garantisce continuità nei rapporti?
Che se c’è una cosa che non cambia da un presidente all’altro, da un partito all’altro, è la politica estera. Infatti, con Obama, a parte i toni, cosa è cambiato? Lui ha rivolto delle scuse, ma poi ci sono i droni, c’è la guerra in Afghanistan, non ha chiuso Guantanamo… Ha fatto esattamente la stessa politica estera di Bush.
Altro tema su cui si sono marcate le differenze tra Obama e Romney: i diritti civili.
(Ride di nuovo) Se la cantano come vogliono. Gli altri, a fine mandato, rispondono a una domanda di grazia su tre, lui ha risposto a una su 50. Obama non è un pacifista, non è un anti-questo o anti-quello. Se fosse stato un repubblicano lo avrebbero già appeso a un ramo, ma hanno una vista selettiva, è la ragione per cui non sto più a sinistra. Non mi appartiene più alcuna ideologia, ma tendenzialmente sono più a destra che a sinistra perché la destra non mi ha promesso niente. La sinistra, invece, lo ha fatto, ma il vuoto delle parole mi ha stufato. Queste sviolinate mi hanno stufato. Sugli immigrati i democratici hanno messo in campo una strategia: sanno leggere i dati demografici e la demografia dice che i bianchi diventeranno una minoranza. È un passaggio strategico, perché si preparano a una egemonia, ma su questioni come le armi lui non ha cambiato nulla, sa che certe cose in America non cambiano e non ha voluto inimicarsi alcun bacino importante di voti.
Allora non c’è differenza tra repubblicani e democratici?
L’unica vera differenza è che tutti e due vogliono il benessere dei cittadini, ma la sinistra, almeno nelle intenzioni, pensa di ottenerlo con la ridistribuzione delle risorse e la destra pensa di far arricchire tutti favorendo le imprese, in modo che diano più lavoro e paghino meglio. Agli americani interessano le cose concrete, il lavoro, il mutuo da pagare. Quando una parte esagera, si va dall’altra. L’America ha sempre fatto così, è la sua salute.
Al di là di tutto, per l’Italia c’è una “lezione americana”?
Gli americani hanno il dono della semplicità, da noi una cosa se è troppo semplice è considerata stupida, non capiamo che a volte la strada più breve tra due punti è una linea retta. Noi arzigogoliamo sempre, c’è dietrologia. In Italia, se vinci, vinci male, per sbaglio, perché hai rubato. Non esiste che ci battiamo come leoni e poi ci stringiamo la mano. In America chi vince governa e poi viene giudicato. Ma è una lezione che non impareremo mai, queste sono cose che hanno ragioni storiche.