«Primarie del Pdl, indietro non si torna»

29 Nov 2012 0:03 - di Priscilla Del Ninno

Colpi di scena e smentite dell’ultim’ora. Annunci, rinvii e ritrattazioni. Regole fissate e messe in discussione in corso d’opera: la fotografia che rimanda allo scenario politico interno legato alle primarie, sia del Pd che del Pdl, appare sfocata anche fuori dei nostri confini. Ne parliamo con Riccardo Migliori, Presidente dell’assemblea parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), che ha guidato diverse missioni internazionali di osservazione elettorale.

 

Come valuta il dibattito sulle primarie italiane?
Mi coglie in un momento in cui ho preso in mano due dossier abbastanza impegnativi, perché le prossime elezioni di cui ci interesseremo come monitoraggio dell’Osce, sono quelle armene e cipriote che sono, a mio avviso, meno preoccupanti delle nostre… Detto questo, gli umori che raccolgo in ambito internazionale rimandano a perplessità miste a curiosità: nessuno riesce a capire in Europa, per esempio, come sia possibile che una leadership promuova la scissione rispetto al partito che ha creato, come nel caso del Pdl.

E il fenomeno Grillo?
Il nostro panorama politico è guardato con molta attenzione, quindi anche il fenomeno populista di Grillo viene seguito, specie nella misura in cui ricalca realtà presenti, in diverse forme, un po’ in tutta Europa, laddove l’equivalente dei grillini italiani, che in molte zone si chiamano Pirati, possono essere populisti di destra o populisti di sinistra.

E le primarie?
Sono stato due settimane fa in America per le elezioni presidenziali: ho incontrato alla Casa Bianca il consigliere della politica estera del presidente Obama. Sono partito la settimana dopo per la Russia, e alla Duma ho incontrato il viceministro degli esteri, e tutti si sono detti preoccupati per la stabilità italiana. Quindi tutti i prossimi appuntamenti elettorali sono più importanti di quanto non si pensi…

Ma allora, nello specifico, uno strumento come quello delle primarie, può essere un’opportunità dalla quale non retrocedere o semplicemente un valore aggiunto?
Partiamo dalle primarie del Pdl. In termini assoluti, nella storia politica della destra italiana il tema delle primarie è un tema estraneo: non abbiamo una tradizione in questo senso, e dunque ho dei dubbi che al nostro elettorato batta il cuore per questo tipo di appuntamento elettorale. Ci sono rischi di divisioni, di settarismi, di correntismi che riemergono, ma questo è un discorso di carattere generale. Bisogna considerare però che oggi siamo in una situazione straordinaria: il partito è bloccato da alcuni mesi, per questo ritengo che indietro non si torna e non si può tornare. Lo stop and go delle ultime settimane rischia di sconcertare i nostri elettori: si possono ammettere passi indietro, rinvii, ma cancellare le primarie significherebbe a mio avviso azzerare un ragionamento politico che tutta la classe dirigente del partito ha fatto fino a qualche ora fa. E vorrebbe dire alimentare un senso di disorientamento che parte dai vertici e destabilizza fino alla base. Eppure, girando per le nostre sezioni, si riscontra una chiarezza di prospettiva, una voglia di partecipazione e di affermazione dei nostri valori… Per tutto questo mi sembra difficile pensare di tornare indietro a questo punto.

Pensando invece alla primarie del centrosinistra e al ballottaggio che incombe, come commenta i risultati? E come valuta il fatto che, malgrado il plauso bipartisan e il successo mediatico dell’iniziativa, siano in realtà andate peggio delle primarie di coalizione dell’Unione che siglarono l’affermazione di Prodi nel 2005?
È vero: c’è un milione di voti in meno rispetto a Prodi, ma la propaganda della sinistra è riuscita a determinare un risultato straordinario. Detto ciò, pur guardando con grande rispetto a tutti i cittadini protagonisti di un atto politico molto importante, colgo il fatto che il leader del Pd, candidato possibile del centrosinistra alla presidenza del consiglio, non ottiene il 50% nemmeno in casa sua. In Toscana, in Umbria e nelle Marche, abbiamo assistito a un corto circuito molto interessante: siamo in presenza di un fatto clamoroso di delegittimazione popolare, per cui Renzi batte l’ossatura burocratica del Pd nelle regioni che sono la culla del sistema di potere della sinistra.

Come valuta la performance di Renzi fin qui?
Sappiamo che il candidato rottamatore è un grande propagandista: un fittissimo fumo dietro a cui si nasconde un vuoto programmatico. E nessuno gli ha mai chiesto, del resto, al di là della rottamazione, quale sia il suo effettivo sistema di valori di riferimento… È noto che proviene dalla sinistra democristiana, e che punta sul fatto di essere molto “kennediano”– e buona parte dell’elettorato moderato lo incornicia come tale – ma al di là delle apparenze la verità di fondo è che il sindaco di Firenze ha una concezione molto personalizzata della politica.

Si analizzano coalizioni e spacchettamenti. Alfano ha dichiarato che «senza il partito non si batte la sinistra». È d’accordo?
Io sto con Alfano e sto nel Pdl. Credo in un progetto che abbia il senso compiuto di un’alternativa piena alla sinistra. Nel momento in cui c’è da “integrare”, non possiamo “disintegrare” e andare contro la logica politica essenziale: in questo caso 2+2 non farebbe 4, ma 2,5. Spero che Berlusconi non voglia “ripetere” la storia trasformandola in farsa, come diceva Marx.

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