Attenti, i “giustizieri dello spread” stanno di nuovo giocando sporco
Rieccoli, i giustizieri dello spread. Si muovono nell’ombra e all’improvviso spuntano, spade tra le mani, per colpire a più non posso con l’obiettivo di intimidire la politica e dettar legge. Sono un po’ come i Bravi manzoniani, «questo matrimonio non s’ha da fare», adeguato alle news. Non appena si è avuta conferma della ridiscesa in campo di Berlusconi, sono rispuntati i numeri, «lo spread è salito a quota 330», la colpa è sua (anche se non è vero), i tiggì hanno collegato i due avvenimenti con furbizia, facendo capire e non capire, i “grandi” giornali – quelli da sempre ostili al centrodestra – ne hanno approfittato per sparare titoli contro il Cav e poi, quasi a bassa voce, tutta la cosiddetta informazione “libera” ha detto che i problemi sono arrivati dalla Germania, con la Bundesbank che ha rivisto al ribasso le stime di crescita tedesche. Bisogna stare attenti, si sta ricomponendo tutta la squadra “complottista” di un anno fa e si sta tentando di costruire lo stesso scenario che indusse Berlusconi alle dimissioni per evitare un attacco ai danni dell’Italia, dopo aver avuto il coraggio di dire di no alla Merkel e alla sua strategia dei sacrifici. Non fu irrilevante un elemento: le politiche del governo di centrodestra stavano strette al mondo delle banche e della finanza che inseguono la realizzazione degli utili anche ai danni di famiglie e lavoratori. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Dopo un anno di Monti a Palazzo Chigi i poteri forti sono soddisfatti e tifano per un bis del tecnopremier mentre famiglie, lavoratori e pensionati sono alla canna del gas. Qualche dato basta a far capire le cose che la disinfornazione di casa nostra cerca di nascondere: l’Italia – tredici mesi dopo – ha un milione di disoccupati in più, due punti di Pil in meno, 70 miliardi di debito pubblico in più e una pressione fiscale che ha raggiunto il 45,5 per cento. Qualcosa non ha funzionato: i tecnici non sono stati all’altezza della situazione. Riforme sbagliate come quella delle pensioni ci sono costate molto in termini di welfare, ma anche di costi. I soli esodati, infatti, minacciano di avere ricadute sui bilanci per oltre 10 miliardi. E l’allungamento della vita lavorativa, se da una parte ha trattenuto in servizio mezzo milione di lavoratori anziani, dall’altra ha impedito a un numero equivalente di giovani di trovare un’occupazione. Non è un caso se la disoccupazione giovanile ha registrato un forte balzo in avanti raggiungendo il 36 per cento. Con la riforma del mercato del lavoro, poi, è andata anche peggio. Messa in cantiere per favorire l’occupazione, ha finito per ridurla, perché invece di allargare le maglie per far assumere i giovani ha introdotto nuove ingessature, scoraggiando così le imprese. Quelle stesse imprese che chiedono credito alle banche e non lo trovano, dopo che i molti miliardi di euro, arrivati dalla Bce a tasso agevolato, sono andati a finire nei forzieri degli istituti di credito che li hanno utilizzati per acquistare titoli pubblici e sostenere così indirettamente la politica del governo e far scendere lo spread. Altro che maggior fiducia, il differenziale Btp-Bund in questo periodo ha fatto abbondantemente l’elastico e non ha risentito, se non in piccolissima parte, dei provvedimenti presi dal tecnopremier e dal suo governo. Chi ha buona memoria, infatti, ricorderà che la svolta c’è stata questa estate con le dichiarazioni di Draghi e la promessa si un impegno della Bce. «Faremo tutto quanto sarà necessario», aveva detto il presidente dell’Eurotower. E questo è bastato dove non erano state sufficienti né la riforma della previdenza, né quella del lavoro, né il “Salva Italia”, né il “Libera Italia”. L’arma dello spread è ormai una pistola ad acqua: lo hanno capito in tanti e lo ha capito anche il Cavaliere. Ridiscende in campo. Alle prossime elezioni la scelta è tra chi ci ha tolto l’Ici e chi, come Bersani, sta già pensando a una nuova patrimoniale per finire di amazzare i ceti medi. È solo la prima traccia. E non è da poco.