E Bersani s’è convinto di aver vinto le elezioni
Ha vinto solo le primarie, ma di fatto si comporta come se fosse già premier. Dopo la vittoria al ballottaggio, Pierluigi Bersani è volato a Tripoli per la sua prima missione estera, ma anche dalla capitale libica non stacca la presa e parla a ruota libera dei suoi prossimi impegni politici: «Il primo sarà con Mario Monti, ce lo siamo detti al telefono quando ho ricevuto le congratulazioni, le prime che sono arrivate». Ma va anche all’attacco. Accoglie con atteggiamento di sfida le voci di una possibile discesa in campo del Cavaliere con un nuovo soggetto politico: «Auguri… se sarà sfida la faremo. Non vedo l’ora».
No al ticket con Renzi
Ed esclude ancora una volta il ticket con Matteo Renzi, anche se pensa di coinvolgerlo nella squadra. Ma per ora non sarebbe arrivata nessuna proposta al sindaco. Nessuna offerta di coinvolgimento nella battaglia dei prossimi mesi verso Palazzo Chigi: «Quello che abbiamo fatto non l’abbiamo fatto Matteo ed io – dice parlando al plurale – non sono voti di Renzi o Bersani. Ticket? Non abbiamo il duopolio, io non pretendo il monopolio ma siamo un collettivo aperto e plurale, discutiamo insieme e poi siamo uno squadrone che vuole servire il Paese. Il partito – prosegue – non è né mio né suo, riusciremo tutti insieme a fare squadra. Il problema è che in Italia siamo abituati all’imperatore, all’uomo solo al comando, c’è l’idea che discutere sia alternativo a decidere. Noi discutiamo anche animatamente poi siamo una squadra che vuole servire il Paese». Il segretario Pd ribadisce che «alla prima occasione con Renzi ci vedremo». Ma non fissa date. A stretto giro arriva anche la replica di Renzi che si mostra deciso a tornare a fare il sindaco e a tenersi fuori da possibili inciuci romani, che lui chiama “chiacchiere”: «Io ora sto cercando di completare il Teatro dell’Opera: le discussioni mediatiche su ciò che avverrà a Roma nei prossimi mesi non mi riguardano più. Il mio futuro è qui, in questo ruolo. Naturalmente spero che il centrosinistra non perda la grinta che ha avuto in questi tre mesi». E aggiunge: «Tutti noi dovremo dare una mano perché questo accada, senza continuare con le solite discussioni, ticket non ticket, ministro non ministro, Parlamento non Parlamento. Io faccio il sindaco e cerco di farlo bene. Interrompiamo le chiacchiere sulla politica romana». E poi conclude: «Mi sarebbe piaciuto provare a cambiare l’Italia – continua Renzi – Ci abbiamo provato e abbiamo la coscienza a posto. Nel momento però in cui gli italiani che sono andati ai gazebo hanno scelto un altro progetto, uno lascia a chi ha vinto il compito di gestire la partita. Ora non tocca più a me». Ma molti fanno notare che lui aspetta una proposta.
I renziani e i bersaniani
Ma se Renzi si tira fuori, lo stesso non fanno i suoi sostenitori. Per esempio, il senatore Andrea Marcucci che si dice vicino alle posizioni del sindaco di Firenze sollecita «le primarie, in ogni collegio, per la scelta dei parlamentari». È – sottolinea – «il proseguimento naturale del confronto del 25 novembre e del 2 dicembre. Chi pensasse a nomine di imperio nei listini bloccati o a primarie limitate agli iscritti al partito, è fuori dal mondo. Le primarie sarebbero anche il modo più concreto e trasparente per motivare le tante energie mobilitate da Renzi in questi mesi. Mi auguro che venga stabilito con urgenza un regolamento aperto per convocarle a gennaio». I bersaniani si sentono forti. Più di sempre. Anche per i sondaggi che indicano i consensi del partito a livelli mai toccati. «Ora sono a mille sulla storia delle primarie per i candidati in Parlamento», riferisce un deputato.
Election day
E con le elezioni che bussano alle porte anche Bersani dice la sua sull’ipotesi di un election day a febbraio: «Ho sempre pensato che sia sensato tenere separate le elezioni regionali e politiche. Dopo di che voglio capire se Alfano e Berlusconi vogliono e come le elezioni politiche a febbraio. Parlare di election day senza capire cosa significa è difficile». Poi sul Lazio: «Ci sono norme e varie sentenze per il fatto che ai primi di febbraio si voterà nel Lazio, non è un optional». E, infine, sfoggiando una sicurezza incredibile nega che in caso di vittoria alle elezioni il centrosinistra «avrà scontri e divisioni come nel governo Prodi».
Il ritorno dell’ex-premier
E con la vittoria di Bersani, assieme ai vari Massimo D’Alema e Rosy Bindi, è tornato a parlare anche Romano Prodi che dopo aver applaudito alla vittoria del segretario ora sostiene che la cooperazione con Renzi «sarà importante». «I partiti – osserva – non hanno mai un’anima sola, sono una fusione di diverse anime, tra loro compatibili, con alcuni obiettivi comuni, e il punto di partenza oggi è l’ideale». In realtà, la sua ricomparsa secondo rumors, non sembra del tutto casuale. Infatti, all’indomani della vittoria di Bersani, il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ha lanciato Prodi al Quirinale: «Tutto cominciò – ha scritto Burlando su Twitter – con l’Ulivo. Una straordinaria intuizione di Romano Prodi. E sarebbe bello vederlo al Quirinale. Bersani a Palazzo Chigi e Prodi al Quirinale. Da domani questo diventa l’obiettivo. A lavoro e alla lotta…». Il Pd quindi si prepara a occupare entrambe le postazioni. La poltrona del Quirinale si libererà tra un anno…
Il sindacalista della Fiom
Cauta la Fiom. Non un giudizio sulle persone ma sui contenuti, sulle proposte, sui programmi. È il commento del segretario generale Fiom, Maurizio Landini, sul risultato delle primarie del centrosinistra. «Continuo a dire – afferma – che giudico per ciò che faranno, diranno, sui programmi che presenteranno. Il nostro giudizio non è legato alla singola persona ma ai contenuti».