Ora a sinistra si litiga sui giudici politicizzati
«Distruggete quelle intercettazioni». Il “day after” della sentenza della Corte costituzionale, che ha accolto il ricorso del Capo dello Stato e sancito la sconfitta dei pm di Palermo, è puntellata da polemiche che si scatenano tutte a sinistra. Per la Consulta vanno subito distrutte le 4 conversazioni intercettate dalla Procura di Palermo fra Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino, indagato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. «Non spettava» alla Procura, dicono i 15 giudici costituzionali «valutare la rilevanza» delle intercettazioni. Dovevano «chiedere al giudice l’immediata distruzione» e in modo da «assicurare la segretezza del loro contenuto». Una sentenza che da molte parti “al di sopra di ogni sospetto”, per così dire, viene definita «politica», in primis, dall’ex procuratore di Palermo, Antonio Ingroia, che dal Guatemala si è detto «amareggiato. Le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto. Devo ricredermi – ha aggiunto – ero convinto che tanti anni di progressi della giurisprudenza nel senso dell’autonomia della giustizia dagli altri poteri avessero dato i loro frutti e invece questa sentenza dà ragione alle opinioni che non avevo mai voluto seguire». Allora non è una balla dichiarare che dietro alcune sentenze abbia battuto un cuore politico. Quando lo affermano l’ex premier Berlusconi o i suoi avvocati, allora non vengono ritenuti credibili. Ora da questa vicenda che riguarda il Capo dello Stato ricaviamo che più d’uno anche a sinistra qualche dubbio lo nutre. Dobbiamo credergli? Se a ricredersi è uno dei simboli di Magistratura democratica come Ingroia allora dobbiamo prenderne atto… «Ci aspettiamo che tutti coloro i quali hanno manifestato il loro scandalo quando da parte nostra è stata fatta una critica a questa o quella sentenza, adesso si facciano sentire», commenta Fabrizio Cicchitto. Non sfugge, poi, un meccanismo quanto mai bizzarro evidenziato dal vicepresidente dei deputati del Pdl alla Camera, Maurizio Bianconi, che ha presentato un’interrogazione al Ministero della Giustizia «per rappresentare un’anomalia, che se avesse riguardato qualunque altro avrebbe già scatenato le ire furibonde di tutti i legalitari d’Italia: e cioè come sia possibile che il giudicato abbia nominato membri dell’organo giudicante e che questi abbiano egualmente preso la decisione». Spiega Bianconi: «Ognuno di noi vorrebbe nominare almeno un terzo dei giudici che lo giudicano. Cosi non è, ma la Corte Costituzionale composta di 15 membri ne ha per l’appunto 5 nominati dal Presidente della Repubblica». Le intercettazioni, poi, non sono tutte uguali. «Stupisce», scrive Bianconi, «che la distruzione delle telefonate sia stata chiesta dalla Presidenza della Repubblica in questo caso e non in altri precedenti, dove invece le telefonate casualmente intercettate ebbero ampio rilievo». La sentenza della Consulta sta scatenando un terremoto. Va giù pesante contro i pm di Palermo Luciano Violante, dal quale apprendiamo che forse il Cav aveva ragione e che a volte i pm possono essere poco lucidi e poco sobri: «Forse alcuni dei magistrati inquirenti hanno avuto la sensazione di costruire non un processo ma un capitolo della storia italiana. Sensazione che li ha portati a perdere lucidità, a non vedere i limiti costituzionali nell’azione della pubblica accusa». Alfredo Mantovano del Pdl giudica «ineccepibile» la sentenza della Consulta, ma sul piano politico offre a Ingroia «la parte che gli riesce meglio: quella di vittima dei potenti e dei loro complotti». «Sembra che sia in atto una nuova offensiva della magistratura contro il presidente Napolitano», afferma Antonio Leone del Pdl, che evidenzia un conflitto tutto interno alla magistratura e ai magistrati di sinistra. «Ingroia giunge persino a minacciare la pubblicazione delle intercettazioni incriminate, di cui la Consulta ha disposto la distruzione. Sarebbe doveroso che Vietti e il Csm adottassero qualche decisione contro la pericolosa deriva anarchica di alcuni settori della magistratura».