Passera provoca, il Pdl fa tremare il governo tecnico

7 Dic 2012 0:03 - di Romana Fabiani

Altro che Monti bis, stavolta c’è aria di crisi per il governo del tecnoprofessore che potrebbe non mangiare il panettone. Un’entrata gamba a gamba nel dibattito politico del ministro Corrado Passera, che ha definito «controproducente» l’eventuale ridiscesa in campo di Berlusconi, manca in tilt gli equilibri della maggioranza che da un anno sostiene il premier e rischia di generare un corto circuito generale. «Tutto ciò che può solo fare immaginare al resto del mondo, ai nostri partner, che si torna indietro, non è un bene per l’Italia. Dobbiamo dare la sensazione che il Paese va avanti», parole come pietre quelle pronunciate ad Agorà dal poco sobrio ministro dello Sviluppo economico che scatenano l’immediata e compatta reazione del Pdl che toglie la fiducia a Monti sia al Senato che alla Camera in una giornata al cardiopalma. A poche ore dall’apparizione televisiva di Passera, a Palazzo Madama il Pdl decide di non votare il decreto sviluppo-bis anche se non fa mancare il numero legale e Monti può incassare per un soffio il via libero al provvedimento con 35 voti sotto (127 i sì, 17 i no e 23 gli astenuti), dopo essersi precipitato a votare la fiducia prima di tornare a Palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri. Il Pdl fa tremare il governo tecnico, per alcuni in anticipo sui tempi per altri troppo tardi.
Sono stati in tutto 13 i senatori del Pdl, guidati da Maurizio Gasparri, che hanno partecipato al voto di fiducia per non far mancare il numero legale dopo che la Lega ha deciso all’ultimo di non sfilare sotto il banco della presidenza. Non sono mancati i dissidenti che hanno confermato la fiducia al premier, tra questi Beppe Pisanu (spero che questo governo duri fino alla fine, spero che in molti mi seguiranno»), Paolo Amato, Giuseppe Saro e Franco Orsi che ha parlato di “equivoco” nato da un frettoloso ingresso in aula a causa di una precedente riunione del gruppo ma di essere «perfettamente allineato alle posizioni del gruppo». «Questa nostra decisione – spiega Maurizio Gasparri – vuole esprimere, nelle forme regolamentari consentite, il passaggio del nostro gruppo a una posizione di astensione nei confronti del governo». Poi replica in Aula al Pd che, per bocca di Anna Finocchiaro, ha buon gioco a drammatizzare gli eventi e accusa il centrodestra di scaricare sul sistema i suoi problemi interni: «Non intendiamo scaricare nostre crisi politiche sull’intero paese. In un momento particolare della vita del paese abbiamo accettato nascesse questo governo e lo abbiamo sostenuto contribuendo a riscrivere la legge di stabilità. Con l’astensione di oggi abbiamo comunque garantito che passasse il decreto. E quello che faremo lo faremo alla luce del sole, difendendo gli interessi dell’Italia e degli italiani». All’astensione del Pdl si sono aggiunti i 13 senatori di Coesione nazionale. Chiudendo i lavori dell’Aula, Renato Schifani, non si sottrae al bilancio di una mattinata infernale e definisce quello che accaduto «un fatto non indifferente» annunciando che informerà il capo dello Stato. Pressato da più parti, a metà pomeriggio Napolitano decide di intervenire a margine del direttivo dell’Anci invitando le forze politiche ad evitare «una fine convulsa della legislatura, lasciando andare a picco quello che non deve andare a picco». Annunciando di riservarsi «di compiere nelle prossime ore i conseguenti utili accertamenti», chiede alle forze politiche di fare una valutazione «obiettiva e serena sui tempi necessari e opportuni per una proficua preparazione del confronto elettorale», ben sapendo che le elezioni vicine stanno suscitando crescenti tensioni tra le forze politiche». Monti dal suo canto tiene botta e annuncia di non avere in programma di salire al Quirinale (dove questa mattina si recherà Angelino Alfano) e di attendere le valutazioni del capo dello Stato continuando «a svolgere il suo normale lavoro». Dice poi di aver sentito il ministro Passera ma di non aver ravvisato «elementi suscettibili di critica» spiegando che ci possono essere dichiarazioni «più o meno felici».
Lo stesso «segnale» al governo arriva da Montecitorio con la fiducia al provvedimento sui costi della politicia negli enti locali (che passa con 281 voti favorevoli, 77 contrari e 180 astenuti). «Sulla base di una valutazione politica generale che va al di là del merito del provvedimento – annuncia nel primo pomeriggio Fabrizio Cicchitto – abbiamo deciso di astenerci per marcare la nostra posizione fortemente critica sulla sua politica economica». Non è un povero untorello come il ministro Passera – aggiunge il capogruppo del Pdl – a determinare la nostra presa di posizione, «ma qualcosa di molto più serio e consistente». In cinque tra le file pidielline, però, votano la fiducia in dissenso dal gruppo: Franco Frattini, ex ministro degli Esteri, da sempre considerato un filomontiano, Alfredo Mantovano che non giudica opportuno lanciare segnali su un provvedimento necessario che il Pdl ha contribuito a migliorare, Giuliano Cazzola, Gennaro Malglieri e Carla Castellani. Undici invece i parlamentari che hanno votato contro la fiducia, tra questi Guido Crosetto e Alessandra Mussolini.
Tra i primi a replicare all’incauto outing di Passera c’è Daniele Capezzone, che ricorda al ministro che «all’Italia fanno male la recessione, l’Imu che sta prosciugando le tredicesime degli italiani, la spirale depressiva in cui il Paese è immerso a causa di un bombardamento fiscale ormai insopportabile». Per il centrodestra la misura è colma tanto più che l’autore dell’affondo è un ministro tecnico che non gode del consenso popolare e che dovrebbe essere più prudente. «Con le sue dichiarazioni contro il leader del maggior partito che gli consente di fare il ministro, Passera ha gettato la maschera – tuona Altero Matteoli – si candidi con chi vuole, ma abbia il buon senso di dimettersi». Anche per Silvano Moffa Passera, “ministro della Disarmonia”, dovrebbe fare un passo indietro. Durante la chiama per il voto di fiducia Domenico Gramazio ha sollevato in segno di protesta un cartello con la scritta “Fate votare Passera”. Legittimo per chiunque volersi ritagliare un futuro ruolo politico, ma – questo il ragionamento del Pdl – non può usare come trampolino di lancio la sua carica a Palazzo Chigi. Antonio Leone si dice curioso di verificare nelle urne il gradimento degli italiani per la gestione di Passera alla guida del ministero. Ignazio La Russa preferisce parlare di un «segnale forte del Pdl» ma chiarisce che se è venuta meno la fiducia, «la maggioranza c’è ancora. Non saremo noi a mettere in ginocchio il governo». Anche la Lega si unisce alla richiesta di dimissioni con un puntiglioso Reguzzoni che, numeri alla mano, sostiene che Monti «ha l’obbligo morale di recarsi al Quirinale e rimettere il mandato nelle mani del presidente Napolitano». Molto più esplicito Roberto Maroni che twitta «Forza Cav, forza Alfano, fuori gli attributi! A casa Monti, ridiamo la parola alla democrazia e al popolo sovrano». In un’escalation di tensioni incrociate, che tiene tutti con il fiato sospeso, Pier Luigi Bersani dà lezioni di coerenza: «Se il Pdl insiste in un atteggiamento irresponsabile, noi pensiamo che Napolitano con la sua saggezza troverà il modo per condurre la vicenda in modo ordinato». E a fine serata incontra Casini per un vertice d’emergenza.

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