Il film veltroniano non è ancora in sala ma già si grida al capolavoro
Non è ancora arrivato sul grande schermo ma già si plaude al capolavoro: il motivo? Semplice, l’imprimatur di Walter Veltroni, cinefilo doc, esperto mecenate della settima arte e da oggi anche autore del romanzo, La scoperta dell’alba, che offre titolo e plot narrativo all’omonima pellicola diretta da Silvia Nicchiarelli, da domani nelle nostre sale. Ha scelto di andare sul sicuro la regista romana al suo secondo lungometraggio dopo l’esordio di Cosmonauta: un soggetto che ruota attorno al tema della nostalgia, (con tanto di trovata sentimentale del telefono che mette in comunicazione con il bambino che si è stati e con un vissuto irrisolto), che ha alle spalle un acclarato successo editoriale; un cast di prim’ordine che, da Margherita Buy a Sergio Rubini, annovera il meglio della scuderia attoriale di casa nostra; tentazioni vintage e un’ideale anello di congiunzione con i percorsi cinematografici perlustrati in nome di progetti autarchici da Nanni Moretti, e sul crinale della fratellanza conflittuale raccontata da Daniele Luchetti in Mio fratello è figlio unico, ispirato al Fasciocomunista di Antonio Pennacchi. Ce n’è abbastanza, insomma, perché il film incontri il favore della critica radical chic, sposi il gusto del pubblico “colto“ e dal palato esigente, che va al cinema e fa tendenza, e perché il tam tam in Rete stimoli i critici, più o meno accreditati, a decretare a suon di click un successo annunciato (e argutamente perseguito). «Sorprende, e in positivo, come Susanna Nicchiarelli e il suo co-sceneggiatore siano riusciti a trattare con una sensibilità generazionale e lontana da ogni lettura politica…», si entusiasma il sito www.comingsoon.it. E anche il sito letteraturaecinema.blogspot.com/ si lascia trascinare dal buonismo veltroniano e parla di film “dotato di ironia, che rende la visione divertente e allo stesso tempo spiazzante”, visione curiosa se si considera che lo spunto è la scomparsa di un uomo negli anni di piombo. Liberamente tratto dal romanzo di Veltroni, la pellicola racconta dunque la storia di una donna, cui presta volto e mimica Margherita Buy, a cui viene offerta una seconda possibilità: scoprire come sia avvenuta la morte del padre in epoca brigatista, grazie all’incredibile opportunità di parlare con se stessa trent’anni prima. Dal sogno del viaggio nel tempo, alla dolorosa pagina del terrorismo brigatista che ha insaguinato uno dei capitoli della nostra storia non ancora metabolizzato, gli ingredienti per colpire “pacatamente”, “garbatamente” – per usare termini di crozziana memoria che rimandano alle caricature satiriche del comico genovese ispirate all’ex sindaco di Roma – il cuore degli spettatori. E il sogno di Veltroni, custodito per anni in idee per sceneggiature e appunti di regia abbozzate sui quaderni, è diventato finalmente realtà. Ma il buonismo non era stato archiviato, alle spalle del suo più famoso portabandiera, a sua volta al tramonto politico?