Mezzogiorno, ultimo atto: dispiace dover dire “l’avevamo detto”…

17 Gen 2013 17:42 - di Giovanni Centrella

Era l’estate 2011 e per l’Ugl era già chiaro come nel Sud, ancora più che nel resto del Paese, si stesse andando incontro ad un processo di desertificazione industriale. Quell’allarme, che abbiamo lanciato tante volte anche sul Secolo d’Italia, non si basava su un’impressione o sul campanilismo, essendo io fieramente uomo del Sud, ma sulla realtà di chi fa ogni giorno sindacato. Grandi industrie in declino scatenano un effetto domino distruttivo sull’indotto diretto e indiretto: sul commercio, sui servizi, sugli scambi, sulle entrate dello Stato e sulla tenuta sociale di territori vasti quanto irregolari, poveri e allo stesso tempo ricchi. I quali, come si sa benissimo, si ritrovano da decenni a dipendere da fabbriche più simili a cattedrali nel deserto che a snodi nevralgici di un articolato sistema di attività che nel corso del tempo si sarebbe dovuto stratificare, diversificare, sviluppare. L’impossibilità di riconvertire l’industria è l’altra triste realtà con cui ci scontriamo da decenni, ogni santo giorno, ed è una delle risposte all’uso consistente della cassa integrazione. La dipendenza economica e persino psicologica dagli ammortizzatori sociali in Italia non affonda le radici solo in una mentalità assistenzialista un tempo tipica dei lavoratori così come della classe dirigente meridionale, ma anche nell’incapacità a livello locale e nazionale di programmare il futuro, quindi le alternative possibili, auspicabili, strategiche. Come sarebbero ad esempio le infrastrutture materiali e immateriali: strade, treni, aerei e la sicurezza, inedulidibile. Inevitabilmente e più che autorevolmente, ieri Confindustria con il suo presidente, Giorgio Squinzi, ha avvertito che il Mezzogiorno non può essere più la terra delle promesse non mantenute. Allo stesso modo l’Ugl come Confindustria ritiene che l’unica vera occasione concreta per il meridione siano i fondi strutturali, che il ministro Barca ha saputo sapientemente riprogrammare grazie alla sua provata esperienza. Ma stiamo parlando già del passato. Che cosa accadrà in futuro? Noi vorremo saperlo, perché la programmazione dei fondi strutturali e la centralità del Sud nell’agenda politica di un governo devono rappresentare per i cittadini, per i lavoratori e per gli imprenditori un criterio di scelta attraverso il quale sapere per chi votare.

*Segretario Generale Ugl

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