Rilanciamo l’economia sbloccando le anticipazioni sui lavori pubblici
In tutte le teorie economiche è ormai acclarato che uno dei sistemi per il rilancio delle economie nazionali, a breve e, si badi bene, anche lungo termine, è costituito dall’esecuzione di piani di opere pubbliche. Questo infatti consente di attivare il mercato del lavoro a tutti i i livelli, dalla grande e media impresa fino agli artigiani e alla manovalanza, ed alle aziende fornitrici. La produzione di reddito così generata si ripercuote in modo positivo su tutti gli strati della società e il benessere e l’ottimismo conseguenti innescano un aumento del denaro circolante (proveniente anche in parte dai mezzi economici dell’imprenditore) e del consumo interno, fattore questo che a sua volta diventa un ulteriore moltiplicatore di ricchezza. Questo circolo virtuoso si genera ovviamente in conseguenza dell’immissione di risorse pubbliche per investimenti nel settore dei Lavori Pubblici. In Italia l’efficacia di questo strumento è ridotta da alcuni punti deboli strutturali i primi due dei quali strettamente connessi: la sottocapitalizzazione delle medie imprese di costruzione e l’assenza di una anticipazione sui lavori affidati, anticipazione che sussisteva, pari al 10% dell’importo del contratto, fino al 1994 e che fu soppressa con l’ormai famigerata Legge Merloni. Questa situazione riduce significativamente, almeno nel medio breve periodo, il ritorno economico e sociale degli investimenti in opere pubbliche. Il primo problema non è risolvibile a breve, anche tenuto conto dell’enorme mole di crediti che le imprese vantano verso la Pubblica amministrazione, ma il secondo si. Oggi assegnare un lavoro con le norme attuali significa creare una catena di debito e non di ricchezza. Infatti l’imprenditore, privo dello strumento del credito bancario e quasi mai in condizione di anticipare totalmente le spese di avvio dei cantieri con mezzi propri, anche per i costanti insostenibili ritardi dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione, non può che avvalersi di collaboratori che avviino i lavori accollandosi anche parte delle necessarie anticipazioni, secondo l’ormai consolidato sistema del: “ti affido parte del lavoro e ti pago quando incasso”. In questo modo la catena produttiva diretta e indiretta e la società nel suo complesso sono inizialmente impoverite e non arricchite dall’avvio di un sistema di opere pubbliche. Infatti le piccole e medie imprese sono strozzate tra uno Stato che non paga puntualmente ( 80 miliardi di debiti!) e le banche che non consentono ormai quasi più credito, meno che mai sui contratti da eseguire. Se si vuole davvero rilanciare il sistema economico anche attraverso i lavori pubblici è indispensabile ripristinare da subito l’anticipazione sui contratti di appalto. Questo consentirebbe di immettere liquidità immediata nel sistema e consentirebbe certamente alle aziende anche un più agevole accesso al credito bancario in conseguenza del migliore flusso economico del contratto. La misura andrebbe adottata immediatamente almeno per i lavori di importo inferiore ad una certa soglia (es. 50 milioni di euro), solitamente affidati alle Pmi del settore delle costruzioni e non ai General contractor, imprese, queste ultime, di norma sufficientemente capitalizzate. Gli effetti benefici che deriverebbero dal ripristino dell’anticipazione sarebbero anche altri: certamente un miglior rispetto dei tempi contrattuali da parte delle imprese e probabilmente un minor costo e contenzioso finale, tenendo conto che le aziende potrebbero eseguire i lavori senza il costo aggiunto e pseudo occulto di una esposizione finanziaria così rilevante, costo che le imprese cercano, comprensibilmente, di recuperare dal compenso per i lavori. Anche il costo sul bilancio pubblico sarebbe molto contenuto. La misura non avrebbe, ovviamente, nessun effetto sul conto economico del bilancio dello Stato, ma solo sulla cassa corrente. Non nel medio termine, durante cui non sussisterebbe, evidentemente, alcun aggravio di cassa, essendo l’anticipazione recuperata nel corso dei lavori e garantita da apposite polizze. Nel brevissimo termine si avrebbe un maggior esborso di cassa in realtà molto contenuto e che verrebbe comunque parzialmente recuperato già nel corso del primo anno di lavori. Qualora si voglia di fatto azzerare anche questa voce basterebbe istituire un apposito fondo, ad esempio presso la Cassa Depositi e Prestiti, destinato all’erogazione delle anticipazioni con interesse pari a zero. In tal caso la cassa corrente delle amministrazioni non subirebbe alcuna modifica e il costo finale dell’operazione sarebbe davvero irrisorio, in riferimento ai numeri del bilancio dello stato e agli effetti benefici prodotti, anche solo in termini di maggior gettito fiscale. Il ripristino dell’anticipazione del 10% costituirebbe inoltre un significativo passo avanti nel rapporto fra Paese e cultura d’impresa. È ormai indispensabile infatti, superare la mentalità giustizialista, cara a una certa sinistra italiana, e ribadire che gli imprenditori non sono dei personaggi da guardare con sospetto e dediti solo all’arricchimento personale, spesso senza scrupoli, ma persone che lavorano duramente per creare ricchezza a un sistema sociale e di lavoro e che per questo meritano, oltre che i doverosi controlli di legalità e fiscalità, credito e rispetto da parte di tutto il Paese. È indispensabile che la politica intelligente e che ha a cuore il benessere del Paese faccia la sua parte
*Direttore Fondazione Libertà per il Bene Comune