L’arte fascista in mostra a Forlì. Tra capolavori indediti e ritratti scomodi uno sguardo su “come eravamo”
Se chiude la mostra sugli Anni Trenta a Palazzo Strozzi a Firenze, si apre quella Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre al San Domenico di Forlì. Cinquecento oggetti raccontano il Ventennio che conobbe una fioritura straordinaria di arti, anche di quelle minori (mobili, gioielli, abiti, design). Nessun intento agiografico nella carrellata di chicche e inediti del “made in Italy” ante litteram. «Alcuni oggetti non si vedevano dagli Anni 20, quando furono creati, – spiega il curatore Gianfranco Brunelli – altri sono conservati dove non si possono ammirare». Simbolo della monumentale esposizione, La Maternità di Gino Severini che introduce una sezione ad hoc. Tre gli inediti assoluti: i manifesti da cui si scopre che il caffé Illy esisteva già nel 1934, gli abiti e le scarpe di Palazzo Pitti che arredano gigantesche statue sportive e i 22 piccoli formati di Mino Maccari, preso in giro da Mussolini che dopo l’8 settembre lo mette al guinzaglio del re. La grande rivoluzione sociale e culturale sognata dagli artisti a cavallo tra le due guerre (contro la democrazia rappresentativa, l’ordinamento parlamentare, il liberalismo, i costumi e i gusti borghesi) portò al sogno dell’edificazione della città moderna. Idea scomoda, forse, ma riconosciuta anche dai più agguerriti detrattori del regime. E moderno è il cinema, l’arredo urbano, il manifesto pubblicitario. Così a Forlì ci si può imbattere nel duce della Maschera di Adolfo Wildt per la Casa del Fascio del ’23, nei bozzetti delle statue dello Stadio del Marmo mai realizzate, nei progetti dell’E 42, compresa una splendida panca per il pubblico, nei mobili progettati per la casa di Fiammetta Sarfatti nel ’33, nella Trasvolata atlantica di Italo Balbo di Giacomo Balla. «È la più grande mostra del Novecento mai realizzata», spiega il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio Piergiuseppe Dolcini, che aggiunge «per carità il giudizio è quello che deve essere, l’ha definito la Costituzione». Peccato che bisogna andare fino a Forlì. La mostra è degna della Capitale, non sfigurerebbe al Palazzo delle Esposizioni, alle Scuderie del Quirinale. E perché no, al Maxxi, il Museo dell’Arte del XXI secolo diretto da Giovanna Melandri. Potrebbe farci un pensierino. E la nostalgia non c’entra.