Modernizziamo il Paese tagliando i costi della Pubblica amministrazione
Immaginate una squadra che abbia la possibilità di scendere in campo senza mai preoccuparsi dei risultati, che possa permettersi di perdere regolarmente, di non soddisfare mai i tifosi, senza che questo comporti per lei alcun contraccolpo o polemica. Immaginate anche che questa squadra sia anche una delle più costose del campionato e che nonostante tutto continui a non portare risultati e a creare problemi e difficoltà ai suoi azionisti e finanziatori. E che tutto questo duri da decenni. Si dirà che è impossibile e che prima o poi le squadre che non portano risultati vengono messe in discussione e ricostruite ma in questo caso non è così. Questa squadra esiste ed è la Pubblica amministrazione italiana. La Pubblica amministrazione del nostro Paese è di gran lunga la più costosa del mondo occidentale. Infatti da dati Fonte Governo Italiano e Ue la spesa media per la Pa nel quinquennio 2005/2009 è risultata pari a 248 miliardi di euro, una cifra veramente enorme. A questa cifra, che già fa impallidire il Bilancio dello Stato, si aggiungono i costi del personale non dipendente che viene continuativamente utilizzato dalla Pa e il cui costo totale può essere stimato in altri 25/26 miliardi. Questo settore da solo assorbe nel complesso oltre un terzo del costo del bilancio complessivo dello Stato.
Rapportato al Prodotto Interno Lordo i costo diretto della P.A. è pari al 16.4% e quello complessivo pari al 18,1 % del Pil. I dati degli altri paesi dell’Eurozona sono tutti largamente migliori di quello della Pa italiana; dalla Spagna, attestata al 15,9%, all’Austria 13,8% e Francia 13.5%, fino alla Germania la cui spesa per la Pa è contenuta nell’11,5% del Pil. Purtroppo in questo campo siamo il Paese fanalino di coda nell’Eurozona e ci portiamo dietro un fardello di costi ormai diventato insostenibile, specie in considerazione della limitatezza delle risorse e della necessità di impegnarsi seriamente per il rilancio dell’economia. Un costo cosi elevato farebbe suppore dei servizi altrettanto validi e un alto grado di efficienza nei confronti degli altri paesi competitori, ma purtroppo così non è. Pur nella difficoltà di reperire indicatori di efficienza e di efficacia univoci e non fuorvianti il quadro che risulta da un esame sufficientemente approfondito è estremamente deludente, per non dire disarmante.
Infatti i tempi medi per la realizzazione delle opere pubbliche(Statali e Locali) vanno da 1.5 a 5 volte rispetto a quelli degli altri paesi dell’eurozona; i tempi per il rilascio di autorizzazioni, certificazioni e NO vanno da 2 a 10 volte quelli del resto del mondo occidentale; i tempi di pagamento medi della Pa superano i 210 gg, contro i 30/50 degli altri paesi occidentali (escludendo da questo calcolo gli eccessi di alcune amministrazioni quali l’Asl Na Centro e Ospedale San Sebastiano di Caserta che pagano oltre i 1500 giorni). Parimenti dicasi per il grado di soddisfazione espresso dai cittadini nei confronti dei servizi della Pa e dei servizi pubblici. Pur nella difficoltà di reperire dei dati affidabili, in nessuna delle varie statistiche si è mai riscontrato un indice di soddisfazione superiore al 50% per nessun tipo di servizio. Questo dato è abbastanza emblematico, e pur se da prendere con molta attenzione, dovrebbe fare riflettere profondamente.
Le conseguenze di questa situazione sono devastanti. Nessuna azienda Estera è più disposta a investire in Italia. A causa dell’inaffidabilità del sistema pubblico, (che viene evidenziata come la prima ragione di scarso interesse) il nostro paese è scivolato negli anni agli ultimi posti nella classifica di attrattività degli investitori internazionali. Il costo per il sistema economico e sociale è pesantissimo. In uno studio del 2011 la Cgia di Mestre ha calcolato in 50 milardi l’anno il costo sostenuto dal Sistema Paese a causa dell’inefficienza della Pa, dei quali 23,1 miliardi a carico delle sole Pmi. I soli ritardati pagamenti costano alle imprese tra i 5 e i 6 miliardi annui di interessi passivi pagati al sistema creditizio. I cittadini sono scontenti e insoddisfatti dell’operato della Pa.
Riassumendo la situazione è la seguente: la collettività sostiene un costo abnorme, pari in media ad una volta e mezzo quello dell’Eurozona e al doppio degli altri paesi occidentali concorrenti per la propria macchina amministrativa e sanitaria pubblica. Questa macchina così costosa non solo non riesce nemmeno a stare al passo di quelle degli altri paesi ma anzi crea addirittura dei maggiori costi e dei danni al sistema produttivo e ai cittadini. Quindi i cittadini e il sistema produttivo ed economico sostengono un doppio maggior costo a causa dell’inefficienza della Pubblica amministrazione italiana, subendo una penalizzazione nei confronti della concorrenza delle aziende estere, in un mercato che ormai è totalmente globalizzato. Tutto ciò costituisce un pesante freno allo sviluppo, da un lato perché il costo della Pa sottrae risorse al Bilancio dello Stato a scapito degli investimenti produttivi, investimenti quantomai necessari in questa fase recessiva; dall’altro perché la macchina amministrativa che dovrebbe supportare l’attività della aziende private e dei cittadini costituisce un fattore di rallentamento delle attività e un ulteriore danno agli stessi.
In questo quadro è un vero miracolo che esistano ancora un’imprenditoria e un’industria nel nostro Paese. Come uscirne? Dato atto che le cause di questa situazione, oltre che a fattori storici sono riconducibili prevalentemente a tre fattori:1) una pessima organizzazione degli uffici caratterizzati da sovradimensionamento e scarsa mobilità da un lato, e dall’assenza di procedure automatizzate dall’altro; 2) la mancanza di sistemi di valutazione dei processi e degli uffici; 3) la pressoché totale mancanza di trasparenza nei procedimenti amministrativi. E’ quindi su questi fattori che bisogna intervenire.
È indispensabile a mio giudizio: un dimagrimento progressivo e mirato del costo della Pa (anche attraverso l’eliminazione immediata della piaga dei doppi incarichi) per riportarlo a valori intorno al 12/12.5% del Pil. Questo comporterebbe un risparmio annuo a regime di circa 50 miliardi. Con un calo progressivo annuo del 2/3% il piano potrebbe essere completato in 7/8 anni, senza grandi ricadute sociali, con un risparmio medio annuo pari a circa 6/7 miliardi, cifra di gran lunga superiore all’Introito dell’Imu.
L’istituzione di procedure trasparenti, accessibili ai cittadini anche via Internet, con tempi certi di risposta e istituzione del principio del silenzio assenso. E’ inoltre opportuno che tutta l’alta dirigenza e i magistrati siano tenuti a rendere pubbliche, così come richiesto a parlamentari e ministri, le loro denunce dei redditi. L’ introduzione di sistemi di valutazione delle procedure e degli uffici alle quali partecipino le associazioni dei cittadini e delle categorie produttive. Ad esempio nella riforma dell’architettura costituzionale, ove si preveda una camera delle Regioni, in questa potrebbero essere inseriti anche i rappresentanti delle categorie, con delega specifica al controllo sul funzionamento della P.A.
In questo modo si otterrebbero: maggiori risorse Statali per gli investimenti, minori costi e tassazioni, maggiore produttività per le aziende, una migliore qualità di vita per i cittadini e si aprirebbero nuovi fronti di lavoro con le nuove tecnologie a favore dei giovani. Insomma un Paese più moderno, più leggero e più trasparente. Non è semplice ma nemmeno troppo difficile, basta volerlo e crederci.
*Direttore Fondazione Libertà per il Bene Comune