Trent’anni fa moriva Paolo Di Nella. Alemanno: riaprire le indagini sugli anni di piombo

9 Feb 2013 11:14 - di Gloria Sabatini

Trent’anni fa moriva Paolo Di Nella dopo sette giorni di coma, vegliato dai suoi amici che, giorno e notte, nei corridoi del Policlinico Umberto I di Roma, avevano atteso invano che riaprisse gli occhi. Una morte assurda: quando Paolo venne colpito al cranio da due esponenti dell’Autonomia operaia il sapore acre degli anni di piombo, con il suo carico di caduti dall’una e dall’altra parte, sembrava un ricordo del passato. La destra giovanile aveva mosso passi importanti nel superamento delle contrapposizioni ideologiche, parte della sinistra cominciava a fare autocritica e il dialogo generazionale sembrava possibile.

Militante del Fronte della Gioventù, silenzioso, capelli lunghi e occhiali, Paolo era un ragazzo come tanti, lontanissimo dagli stereotipi del fascistello dei primi anni ’80, capelli corti e camperos. Lontano nei modi e nella visione della politica come servizio civile. Testardo. Si era messo in testa di restituire ai cittadini del suo quartiere il parco di Villa Chigi per destinarlo a centro sociale e culturale. E aveva speso gran parte della giornata dell’aggressione ad affiggere manifesti per rendere pubblica una raccolta di firme per l’esproprio. Verso le 11 di sera, mentre affiggeva manifesti in mezzo allo spartitraffico di Piazza Gondar, venne avvicinato da due ragazzi, apparentemente in attesa dell’autobus, e colpito al cranio. Rientrato a casa i genitori lo sentirono lavarsi i capelli, muoversi inquieto e lamentarsi, l’ambulanza arrivò quando Paolo era già in coma. Il giorno dopo gli vennero asportati due ematomi e un tratto di cranio frantumato. Troppo tardi.

Al capezzale di Paolo si presentò l’allora presidente della Repubblica, il partigiano Sandro Pertini,  fu un segnale di grande impatto e di svolta civile: per la prima volta un antifascista spezzava la vulgata “uccidere un fascista non è reato”. Eppure le indagini degli inquirenti non brillarono per “efficienza”: l’autonomo Corrado Quarra, dopo il riconoscimento di Daniela, la ragazza che era con Paolo quella notte, venne arrestato per concorso in omicidio volontario con l’aggravante dei “futili motivi”. Dopo un secondo riconoscimento, però, la testimone indicò come secondo presunto aggressore un giovane non indiziato, un amico di Quarra scelto “ad hoc” proprio per la grande somiglianza. Quel tentativo di confonderle le idee la fece considerare non credibile dal magistrato. Quarra fu scarcerato e prosciolto da tutte le accuse e la tesi della “faida interna” ebbe la meglio sulla ricerca della verità. Quella verità invocata da Gianni Alemanno che, dopo la deposizione di una corona d’alloro a villa Chigi, è tornato a chiedere una «generalizzata» riapertura delle indagini. «Nella memoria condivisa di questa città abbiamo un grosso problema: 6 ragazzi di sinistra e 11 di destra uccisi che non hanno avuto giustizia. Se la memoria non è condivisa, il dibattito politico rischia di cadere nell’odio».

Dal 1983, ogni anno,  Paolo viene ricordato a Piazza Gondar davanti al murales con la scritta Paolo vive.  In centinaia  anche quest’anno, come sempre. Sarebbe un bel segnale se lo facesse anche un pezzo di popolo italiano, indipendentemente dalle appartenenze politiche e dalle storie personali. Sarebbe una lezione per chi ancora oggi (solo un anno fa) si “diverte” a prendere a martellate la targa commemorativa di Paola all’interno di villa Chigi. Che oggi è un parco pubblico e uno dei polmoni verdi della città.

 

 

 

 

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