A casa, finalmente
Lasciai un giornale di carta. Era il dicembre 2004. Ritorno e lo ritrovo stravolto. Totalitarismo tecnologico. Non c’è posto per sentimenti e rimpianti. Meglio così, forse. Ma la nostalgia è una canaglia difficile da battere. Il mio “Secolo” sarà sempre quello delle origini. O, almeno, quello della ormai mia lontana giovinezza. Lo conserverò nella memoria e nello spirito. Essenziale, d’altronde, è ciò che vi si scrive. In questo senso la mutazione per me è insignificante.
È vero, sono un vecchio conservatore, ma non mi nego il piacere di avvoltolarmi nelle dinamiche della modernità cercando di rimanere me stesso. Da Burke e Nisbet, una lezione coerente. E così procederò adesso che l’età comincia a farsi grave, se non altro per dimostrare la perennità di una visione valoriale che non si piega alle lusinghe modaiole, agli stereotipi della cultura di consumo, alla politica dell’apparenza.
Ad essere sincero non immaginavo nel 1973, quando pubblicai il mio primo articolo su questo giornale – la recensione a Meditazione delle vette di Julius Evola – che quarant’anni dopo mi sarei dovuto in qualche modo ripresentare giustificando, come giornalista, dopo aver rinchiuso nell’armadio dei ricordi le molte cose che ho fatto (compresa la lunga direzione del “Secolo”), il legame con un tempo politico e professionale scandito da una passione che era la mia unica fonte di sostentamento. Lo confesso in questa prima pagina di diario che vorrei accompagnasse le mie considerazioni politiche e metapolitiche, con qualche incursione nel personale quando se ne presenterà l’occasione, per dire semplicemente che, almeno dal mio punto di vista, il giornalismo politico o è militante oppure è caricaturale, forse perfino menzognero.
E allora noi che sappiamo chi siamo, disaggregati, per come la piccola storia di questi anni ha voluto, da qualsiasi “parrocchia” partitica, riconoscendole tutte però in quanto gemmate da un’unica pianta che non è delittuoso sperare possa rifiorire, penso che abbiamo l’irripetibile possibilità con questo giornale di parlare ad un mondo più vasto di quello che si riconosce in appartenenze provvisorie, occasionali, improvvisate, ma che comunque fanno riferimento alla tradizione ed alla storia della destra culturale e politica italiana. In questo senso mi sento a casa, finalmente. E le gite fuori porta restano evasioni, piacevoli e gratificanti, senza dubbio, ma non più che gite. Al tramonto si ritorna.